Like a rolling stone

bd_like_a_rolling_stoneUna festa per i 50 anni. Su un palco in una sala di periferia un gruppo di ex compagni di liceo più qualche outsider. Conosco, poco, solo il bassista, il festeggiato. Sono contenta di essere stata invitata. Suonano belle canzoni, loro si divertono a farlo e così è divertente vederli.

Scopro che il gruppetto che sta suonando si trova spesso la domenica sera in qualche sala prove di Milano. Me li immagino come dovevano essere 30 anni fa. Le coriste, “le ragazze”, molto probabilmente sono affermate professioniste madri di adolescenti, ma su quel palco hanno 17 anni nonostante i capelli bianchi: le trovo bellissime mentre si muovono a ritmo delle canzoni.

Quanto mi è mancato non aver fatto un liceo…

Ho sempre invidiato mio fratello, il suo liceo misto, i suoi picchetti, le sue possibilità di sperimentarsi: fotografia, teatro, musica…

Anche nella mia scuola c’erano opportunità, ma eravamo tutte femmine in una scuola cattolica… quindi… bè… il teatro c’era, la musica anche, ma sempre con un senso, un significato e una suora che vegliava su noi. A 17 anni il senso vuoi darglielo tu e non puoi sentirti grande, artefice della tua vita, alternativo e contestatore con un grembiule verde acqua addosso… A 17 anni vuoi scantinati, parolacce e la bellezza dannata, non pavimenti lustri e un teatro che profuma di pulito.

Il concertino va avanti e attaccano “Like a rolling stone” di Bob Dylan.

E mi rivedo in un chiostro dell’Università Cattolica. Sì, cattolica anche quella, ma a parte i tre esami di teologia che mi sono sciroppata, il paradiso in confronto all’Istituto Magistrale.
Sono lì, seduta sul muretto del chiostro che giochicchio con un pacchetto di sigarette. Sto chiacchierando con un amico. Mi accendo una sigaretta nel tentativo di cancellare e uccidere definitivamente la brava ragazza delle suore. Frequento la facoltà di magistero, per cui per fortuna non c’è bisogno di spiegare ogni volta che ho fatto le magistrali e spero che dopo un po’ questi nuovi amici che mi sono scelta accuratamente tra quelli più scapestrati della biblioteca, si dimentichino da dove vengo.

A un certo punto mi accorgo che l’amico mi fissa con un sorriso strano. Per un attimo penso che abbia una cotta per me, ma il pensiero lo scaccio subito: sono troppo sfigata e troppo per bene per uno come lui. Prende il mio pacchetto di sigarette e con una penna Bic ci scrive “Miss Lonely”. Mi guarda, ride, mi saluta con un bacio sulla guancia e se ne va.

Ho conservato quel pacchetto per anni, chissà perché…

Ho scoperto solo molto tempo dopo il significato di quella scritta, perché sebbene conoscessi la canzone di Bob Dylan, non ne capivo le parole. Poi, quando con l’avvento di internet ho potuto leggerne la traduzione, ho capito tutto.

Dopo la laurea non ci siamo più visti, non so che fine abbia fatto, ma uno dei ricordi più piacevoli che ho degli anni dell’Università sono le chiacchierate con lui, sempre rigorosamente nei chiostri perché non siamo mai usciti insieme e non ho mai avuto il suo numero di telefono.

E sono grata a questa serata, a questa festa per i 50 anni, per avermi fatto ricordare quei pomeriggi assolati, perché nonostante l’affanno per capire chi io fossi e dove volessi andare, stavo bene. E rivivere quella sensazione è benefico.

E improvvisamente mi ritrovo a invidiare il gruppo di amici sul palco che ogni domenica sera tornano diciassettenni.

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