Le mie serate prefestive dai 16 ai 21 anni sono state per me legate a una catena.
La “catena” era quella che tra due paletti delimitava l’entrata dei box del mio numero civico. Lì si faceva trovare alle nove chi aveva voglia di uscire. Non c’erano cellulari e così valeva il “chi c’è, c’è”. Una volta lì, partiva il ”dove andiamo?”.
Le serate erano sempre uguali e la destinazione era sempre quella: una birreria. Cambiava solo l’indirizzo e il nome del locale, eppure la scelta poteva richiedere anche più di un’ora di discussione nel tentativo di trovare una meta che accontentasse i desideri di tutti.
Molte volte mi sono ritrovata unica ragazza e, soprattutto i primi anni, spesso ero la più piccola. Così io andavo al traino, a me andava bene tutto purché si uscisse di casa. Sì, perché i miei sabato pomeriggi li ricordo come una noia mortale nell’attesa che arrivassero le fatidiche nove: mi piazzavo davanti alla finestra e appena vedevo apparire i fari di qualche macchina scalcagnata conosciuta mi fiondavo giù.
Non ricordo di essermi mai posta il problema se la mia presenza fosse gradita o meno, non l’ho mai chiesto. Io semplicemente mi presentavo e mi cercavo un posto in macchina. Durante quelle serate io stavo bene: non mi piaceva la birra e così mi prendevo una coca cola, qualche volta un panino, e mi godevo la serata, il più delle volte ad ascoltare discorsi non proprio per signorine. Fondamentalmente si parlava di cagate, e mi divertivo un sacco quando venivo presa un po’ di mira in una gara a dire cose sconce nel tentativo di mettermi in imbarazzo. Ogni tanto appariva la nuova fidanzata di qualcuno. Con queste presenze femminili scambiavo qualche parole ma non ho mai legato veramente. Mi sembrava di essere vissuta sempre con un po’ di diffidenza e non ho mai capito se mi percepissero come una zitella sfigata o una possibile rivale. Ovviamente ai tempi ero convinta di essere una zitella sfigata e pensavo che i miei amici mi portassero in giro solo per fare una buona azione. Comunque io sono sempre stata quella “da sola”.
Ma il sabato sera io ero lì, che gli piacesse o no, io c’ero.
Poi qualcosa cambiò: le fidanzate smisero di essere passeggere, qualcuno cominciò a cercare casa, davanti alla birra i discorsi cominciarono ad essere più difficili, la vita cominciò a portarci su strade diverse, io mi innamorai sul serio e senza nemmeno accorgermene pian piano smisi di controllare se alla catena c’erano due fari accesi.
A quasi 30 anni di distanza, quando trascorro un sabato un po’ noioso in casa e avrei voglia di qualcosa, di un’emozione, di un’attesa ripagata, ogni tanto mi capita di ripensare a quei sabato sera, quelli che davano un senso ai miei weekend. Mi rivedo ragazzina e mi faccio tenerezza. Faccio fatica a pensare che quella ragazzina sono stata io. E con questi pensieri carico l’ennesima lavatrice e penso che forse il Gio ha ragione: domani è meglio se andiamo a camminare in montagna…