Ho imparato a sognare

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Ok, la dico tutta: io mi sono rotta le palle delle storie “di successo”. Tutte quelle bellissime biografie di gente che si è fatta da sola, che contro tutte le previsioni ha realizzato i suoi sogni, guadagnato un sacco di soldi, fama, successo.

Se sento ancora una volta citare Steve Jobs e la sua fame ho una crisi di nervi.

Ecco, io credo che sia un’istigazione all’invidia.

Lo so, quando morirò andrò nel girone degli invidiosi ma non è colpa mia: come si fa a non essere invidiosi di chi ha ottenuto tutto? Sì è vero, ti raccontano anche i sacrifici, le sofferenze, ma chi non li ha?

Credo che l’errore sia nel focalizzarsi sul mezzo e non sul fine.

Perché lacrime e sangue, fame, sacrifici li fanno in molti e nella maggioranza dei casi non ottengono fama, soldi e successo. Eppure spesso assaggiano pezzetti di felicità. Perché la differenza la fa il sogno.

Imparare a sognare non è immediato, perché se fai il sogno sbagliato poi può diventare un incubo.

Credo che sia importante imparare a riconoscere il sogno giusto, quello che ci renderà felici veramente, anche se non è molto figo.

Se fai il sogno giusto allora sacrifici, rinunce, saranno parte del sogno e quindi bellissime.

A 25 anni ho passato due mesi in Australia, un posto fantastico, gente fantastica, ma tutto quello che ho fatto per due mesi è stato contare i giorni che mi mancavano per tornare da chi amavo. Perché il mio sogno non era un “dove”, il mio sogno era un “chi”. Forse in cuor mio sapevo che dell’inglese non me ne sarei mai fatta molto perché io volevo andare a fare libri scritti in italiano, perché a me piaceva la lingua italiana. Anche se poco remunerativa, anche se di poco prestigio.

Quando ci siamo sposati chiedemmo agli amici di cantare “Ho imparato a sognare” dei Negrita e ancor oggi penso sia stata un’ottima scelta per iniziare una nuova vita.

Più invecchio, più conosco la gente e più mi rendo conto che chi ha successo in un ambito spesso è un disastro negli altri. E che comunque rimane un essere umano come me, come il giardiniere che qualche giorno fa ha tagliato l‘albero malato a scuola. Chi lo sa quanta strada ha fatto il giardiniere con l’accento straniero per arrivare a tagliare un albero malato nel cortile di una scuola di Milano? O il suo capo, molto più giovane, italianissimo e comunque bello determinato e orgoglioso nel gestire la sua squadra?

Vorrei che tutti i sogni avessero pari dignità solo in quanto sogni. E che la voglia di sognare non smettesse mai.

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