Sono passati 16 anni.
Quando abbiamo capito che tutto quello che volevamo era vivere insieme abbiamo deciso di fare le cose per bene e sul serio: abbiamo deciso di sposarci.
Io guadagnavo un milione di lire al mese (più o meno 500 euro di oggi ma forse con un potere d’acquisto maggiore) con un contratto co.co.co, tu ti stavi per laureare e stavi facendo servizio civile. Nessuna banca ci avrebbe mai dato un mutuo, non potevamo pagarci un affitto e così girando la sera per Milano sulla tua vecchia moto abbiamo trovato una casa che costasse poco e abbiamo chiesto aiuto ai nostri genitori. Li abbiamo invitati una sera in pizzeria e in dieci minuti gli abbiamo detto che volevamo sposarci, che volevamo comprare una casa che avevamo già scelto e che stavamo chiedendo loro di finanziarci. Niente ascensore, sulle scale muri scrostati… Ricordo ancora la faccia perplessa di mio padre… Ma era a Milano e per noi era bellissima. Non ci dissero di no anche se quello che gli stavamo chiedendo erano i loro risparmi e grazie al cielo erano anni in cui le case avevano ancora prezzi umani.
Con i nostri di risparmi ci siamo pagati la ristrutturazione del bagno, la cucina e il letto, tutto il resto lo abbiamo raccattato da amici e parenti, in cantine e in soffitte. Abbiamo scartavetrato, verniciato, pulito. Il resto arrivò dai regali della lista nozze, che per fortuna nostra e generosità altrui andò esaurita. Nonostante preparammo i biglietti di ringraziamento personalizzati, non li abbiamo mai spediti tutti. Una parte fu dimenticata in un cassetto e vennero fuori quattro anni dopo grazie a Carola bambina che li trovò e cominciò a giocarci. Quando ci penso sto ancora male per la figura da ingrati che facemmo.
Il giorno dopo la tua laurea abbiamo deciso la data: non avevi ancora finito il servizio civile, non avevi ancora trovato lavoro, ma eri sicuro che per quel giorno lo avresti avuto. E così fu: a maggio cominciasti a lavorare e il 26 giugno ci siamo sposati.
Tre giorni prima di sposarci sei andato in una agenzia viaggi alla ricerca di un last minute che costasse poco ma che potesse assomigliare a un viaggio di nozze: sette giorni in villaggio turistico a Djerba. Dopo quel viaggio tu hai giurato “mai più un villaggio turistico” e io invece ripeto spesso che tu mi devi ancora le Maldive.
Ci sposammo.
Mio padre mi regalò il vestito, il più bello che io abbia mai avuto. Eppure quella navata sotto braccio a lui con un mazzo di fiori in mano mi sembrò lunghissima… avrei voluto scomparire anziché essere sotto lo sguardo attento di così tante persone. Quando arrivai da te la prima cosa che tu mi dissi fu “mi sono dimenticato di andare a tagliarmi i capelli” e io ti risposi “ho dimenticato di chiedere a qualcuno di leggere il salmo”. E da lì, avremmo dovuto capire un sacco di cose…
Avrei voluto invitare tutti quelli che conoscevo perché non ero in grado di scegliere. E così decidemmo di fare, oltre al pranzo, una festa subito sotto la chiesa, aperta a tutti quelli che sarebbero venuti a vederci.
Poi andammo in campagna dove la tua famiglia ci permise di usare la sua casa, trovò un cuoco, fece la spesa, trovò un ristorante ormai chiuso il cui padrone ci concesse l’uso di piatti e stoviglie, affittò una cucina professionale, tavoli e sedie e organizzò l’arrivo e la sistemazione di un sacco di gente.
È stata una bellissima giornata, nonostante fosse iniziata con la pioggia.
Il giorno dopo ci ritrovammo con alcuni amici che erano rimasti lì per la notte con una montagna di piatti da lavare. Il nostro primo giorno da marito e moglie lo abbiamo passato a lavare piatti. E anche da qui avremmo dovuto capire un sacco di cose…
Poi è cominciato tutto.
Siamo stati aiutati molto dalle nostre famiglie e so che ci vede da fuori pensa spesso che per noi è stato tutto “facile”. Ma io e te sappiamo che non è vero. Abbiamo preso decisioni difficili, fatto sacrifici, attraversato momenti bui, affrontato cambiamenti, accettato le nostre famiglie, la nostra storia passata. Ma ci siamo sempre sentiti liberi di fare quello che volevamo. Mi hai insegnato ad essere ottimista, a rischiare, a non aver paura del futuro ma anche a tenere sempre i piedi ben piantati a terra, a non mollare mai e che se si vuole qualcosa bisogna lottare e impegnarsi per conquistarla. Mi hai sempre fatto sentire bellissima, anche se con gli anni sono ingrassata, anche se tre gravidanze hanno lasciato il segno, anche se il tempo comincia a lavorare duramente su di me.
Se fosse per te avremmo sempre la casa piena di gente, saremmo in tremila associazioni di volontariato e avremmo sicuramente più di tre bambini in giro per casa e sicuramente non tutti nostri. E a me dispiace non essere capace di superare il mio senso di inadeguatezza, “quello che direbbero i vicini” e l’ansia che mi prende quando viene qualcuno e il bagno non è pulito o la cucina è in disordine. Perché proprio non ce la faccio a fregarmene come vorresti tu. E sono pigra. Così sono sempre io quella che dice di no.
Anche se so che per te non è vero, che ti arrabbi quando parlo male di noi, non si può negare che spesso siamo sconclusionati, approssimativi, poco attenti alla forma, casa nostra è un delirio e litighiamo per delle cretinate.
Ma abbiamo iniziato in due e adesso siamo cinque. Abbiamo tanti amici bellissimi che frequentiamo meno di quanto vorremmo ma a cui vogliamo bene.
Sedici anni sembrano tanti eppure a me oggi sembrano pochissimi.
E direi che sposarci finora è stata una buona idea.