È un po’ di tempo che ho questo post nel computer. È un piccolo episodio della mia vita. È qualcosa che è successo tanti anni fa. Non è niente di eccezionale, è qualcosa che credo sia capitato al 90 per cento delle donne. È qualcosa di cui ormai parlo liberamente, ci scherzo anche su, ma visto che io le cose le capisco soprattutto scrivendo, è stato proprio mentre lo scrivevo che l’ho capito fino in fondo. E non so perché ho sentito l’esigenza di metterlo sulla pubblica piazza. Forse perché vorrei che non si sottovalutassero mai i più piccoli episodi quando di mezzo ci sono i bambini. Perché io ero una bambina.
Avevo 11 anni.
Per andare a scuola prendevo ogni mattina un autobus. Se lo perdevo però, per non fare tardi, facevo un pezzetto di strada a piedi e andavo a prendere un tram.
A me il tram non piaceva perché era sempre affollato e le persone non erano facce note come quelle dell’autobus che faceva il giro della mia via.
Una mattina su questo cavolo di tram eravamo tutti appiccicati uno contro l’altro. Ad un certo punto sento qualcosa contro il mio sedere. Penso che sia qualcuno che vuole passare e non ci riesce. Provo fastidio ma dall’alto dei miei 11 anni non capisco. Pian piano comincio a capire che quello che sento è una mano ma continuo a non capire cosa stia facendo e rimango ferma. Comincio a intuire che quello che mi sta succedendo non va bene, ma la mano continua e scendere sempre di più tra le mie gambe e io continuo a rimanere ferma, impietrita. Poi la mano va proprio giù e io ho un sussulto, mi giro di scatto e guardo in faccia ‘sto uomo che a me undicenne sembra un vecchio con un bel loden verde. Lo guardo negli occhi e lui… mi sorride ironico e solleva le mani, come in un atto di resa compiaciuta.
Mi tremano le gambe ma in qualche modo mi avvicino all’uscita e appena le porte si aprono scendo. Mi gira la testa, la mia scuola è a 5 fermate più avanti, mi siedo su una panchina. Non capisco che cosa volesse il vecchio da me, non capisco che cosa ha fatto ma capisco che non è una cosa bella, e penso che lui deve aver pensato che mi piacesse perché l’ho lasciato fare, perché mi ha sorriso.
Quando riesco a respirare ancora normalmente mi incammino verso scuola e pian piano comincio a correre: non voglio arrivare tardi perché ho paura che mi chiedano perché ho fatto tardi. Penso che sono una cretina, che quello che ho fatto è una cosa bruttissima, che io sono una persona bruttissima.
Ho smesso per un po’ di prendere il tram. Quando dopo qualche tempo ho ricominciato, se vedevo il vecchio, scendevo immediatamente.
Non l’ho detto a nessuno. Per anni.
E per anni non ho permesso a nessuno di toccarmi. Bastava una mano su un ginocchio per farmi saltare come una molla. La buttavo sul ridere. A un certo punto alcuni amici hanno cominciato a chiamarmi “giù le mani da cuba” per le mie reazioni scomposte a ogni contatto fisico. E io ci ridevo perché pensavo che così era più facile tenere le mani lontano da me senza dare nell’occhio.
Ma la vita è più forte, gli innamoramenti sono più forti.
A 18 anni ho cominciato a dirlo a qualcuno e solo dopo è arrivato il primo bacio, alla veneranda età di 19 anni. Finalmente capii che non tutte le mani sono uguali, che lasciarmi toccare non era una cosa sporca, che se sceglievo io da chi farmi toccare non ero una brutta persona.
E capii che per colpa di quel vecchio porco avevo perso 8 anni a difendermi in trincea.
A meno che non sia quasi centenario, il porco è molto probabilmente già morto, e, anche se mi fa paura dirlo e un po’ me ne vergogno, il pensiero della sua tomba, che immagino brutta e trascurata, mi da sollievo.