
Mi è capitato qualche volta di leggere articoli molto divertenti su cosa significhi avere figli maschi. Avendone due ho sorriso molto leggendoli, ma tutte le volte il sorriso mi è morto poi un po’ in bocca. Perché io ho anche una figlia femmina. E certe frasi mi mettono a disagio. Tutti questi articoli sottolineano come i giovani virgulti siano anime semplici, come risolvano tutto con un pallone, dei rutti, di come crescendo riducano lentamente il loro lessico a un susseguirsi di suoni gutturali, e di come le madri di maschi spesso invidiano le madri di bambine di rosa vestite, per poi ricredersi di fronte alla complessità del pensiero femminile, alla capacità di pettegolezzo, alle crisi isteriche adolescenziali. Alla fine il messaggio è sempre quello: maschi semplici e simpatici, femmine complesse e rompicazzo.
E allora io mi chiedo: ma è proprio così?
Se ci penso bene ho incontrato maschietti precisi precisi, bambine maldestre e scoordinate. Femmine carine e belline e altre insofferenti alle gonne e al rosa, bambini con il pallone sempre sotto braccio e altri in difficoltà alla domanda “che squadra tieni?”. Ragazzine con la passione di “Star war” e giovani masculi appassionati di “Violetta”. Ci sono ragazzini molto sensibili che reagiscono in modo scomposto a insuccessi e frustrazioni, altri pedanti e noiosi che ti taglieresti le vene pur di arrivare alla fine del racconto, altri ancora attenti al loro look che neanche Brad Pitt. Ragazzine di una simpatia travolgente, altre a dieci anni già alla ricerca dell’anima gemella, altre ancora che hanno ben chiaro cosa vorranno fare da grandi.
Ma allora che cosa significa essere maschi e femmine? Boh…
E poi ci si mette tutto questo calderone sulla paura del gender, neanche fosse alien…
Sono convinta che uomini e donne si diventi, che il percorso di accettazione del proprio corpo e di quello che si è sia sempre difficile ed è un cammino che, come sto scoprendo io adesso, non finisce mai. Si comincia da piccoli a lavorarci su, a scontrarsi con una società che ti vorrebbe in un certo modo, che considera certi modelli migliori di altri e forse quindi è importante cominciare insegnare ai bambini fin da piccoli a voler bene a se stessi. Perché il problema è che quello che sei non lo puoi cambiare: puoi lavorarci su, puoi imparare a sederti composto, puoi imparare le buone maniere, l’educazione, il rispetto del prossimo, ma se sei alto un metro e sessanta a vent’anni, difficilmente potrai arrivare al metro e ottanta a trenta. Perché se il calcio lo trovi un inutile correre dietro a un pallone, hai voglia a provare a giocare al parchetto con gli altri testosteroni in erba: il calcio ti farà sempre un po’ cagare e non riuscirai proprio a correre entusiasta dietro quel dannato pallone. Chi nasce tondo non muore quadrato.
Se il rosa non ti piace, puoi imparare a non fare urletti disgustati mimando un urto di vomito, ma non è che se continui a vestirti di rosa poi ti piacerà. Potranno costringerti a indossarlo, ma da lì a dire che a te il rosa piace ne passa…
Io, ad esempio, mi sono sorbita migliaia di volte il Signore degli anelli, ma ciò non impedisce al mio cervello di rifiutarsi di memorizzare nomi e luoghi e continuare a chiamare Svitol quell’esserino che cerca il suo tesssoro… E quando sento “Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…” non ho un fremito nelle vene come avviene a molti componenti della mia famiglia, eppure l’avrò sentita centinaia di volte.
Non sono multitasking, non mi è mai piaciuto allattare, non sono protettiva, non organizzo merende per gli amici dei miei figli, non metto i tacchi, dico le parolacce, non credo che una casa ordinata e pulita mi renda una donna migliore. Eppure ai miei tempi di gender non si parlava, ho indossato calze bianche e scarpe nere di vernice, ho frequentato una scuola femminile.
Come la mettiamo?
Ormai si sarà capito. A me la teoria gender affascina. Mi affascina come tutte le cose misteriose, segrete, occulte.
E posso capire chi la teme. Se qualcuno costringesse il mio bambino a vestirsi di rosa, forse un po’ mi seccherebbe perché so quanto lui odia il rosa. Quando mia figlia mangia a tavola come un camionista all’autogrill, sono io la prima a trovare la cosa quantomeno “poco femminile”.
Ma mi chiedo, perché tutto questo accanimento contro la fantomatica teoria gender e non invece altrettanta ansia per far sì che a scuola si insegni a rispettare le essenze altrui, i corpi altrui? Davvero pensiamo che se insegniamo ai bambini a mettersi nei panni degli altri loro diventeranno come gli altri? L’esperienza mi dice che quando viene chiesto a qualcuno di essere qualcosa che non si è di solito sono cazzi… e questo era già ben chiaro a quel cattolicone bigotto del Manzoni, che ben lo descrisse con la storia della Monaca di Monza. Hai voglia tu a regalare bambole vestite da suora…
Io sarei più tranquilla se sapessi che a scuola le maestre insegnassero a non escludere i bambini a cui non piace giocare a pallone, a non prendere in giro la bambina diventata donna precocemente o il bambino magrolino e impacciato, o quello a cui piace ballare, disegnare, vestirsi di rosa, che insegnassero l’empatia, la capacità di comprendere il proprio compagno, le sue difficoltà e la sua felicità. Vorrei che non si limitassero a evitare la presa in giro, ma che riuscissero a far vedere che dentro a ogni bambino c’è una persona che ha solo voglia di giocare, di avere degli amici, di diventare grande in un mondo dove ci sia posto anche per lui.
Il rispetto lo si insegna. Anche con le parole. Anche e soprattutto a scuola. Non può essere esclusiva delle famiglie, perché viviamo in una società e la mia famiglia ne fa parte. Quindi posso accendere un cero in chiesa perché mio figlio non sia gay, ma pretendo che la scuola insegni a rispettare chi dovesse scoprire di esserlo e a volergli bene. Pretendo si insegni che non c’è un solo modo per essere maschi e femmine ma che ognuno ha il suo e che questo è una ricchezza per tutti. E soprattutto che tutti hanno il diritto di essere se stessi ed essere felici. Perché accettare la propria croce è un atto di fede libero, e solo in quanto libero dona serenità e pace interiore. Se invece è imposto con la discriminazione e il giudizio sociale è un atto di violenza e prevaricazione. Soprattutto, ma non solo, nei confronti di chi una fede non ce l’ha.
Comunque, ragionando per assurdo, come si faceva a scuola in matematica, e immaginando che nelle scuole insegnino ad essere asessuati e che tra maschio e femmina non c’è differenza, davvero quel bimbo che ho visto al parco l’altro giorno non diventerebbe rosso sbiascicando parole senza senso al saluto e allo sguardo della splendida bambina dalla lunga coda di cavallo? Bah… secondo me no… Forse sarebbe più utile insegnargli a non umiliarla alzandogli la gonna per superare l’imbarazzo e per far ridere l’amico che fa i rutti…
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