Anche io sono andata all’Expo. E ho imparato un sacco di cose.
Innanzi tutto pensare di andare il giovedì, quando molte scuole sono già iniziate, evitando quindi il week end, il lunedì e il venerdì che ti dicono essere pieni di gente, è un’idea geniale. E infatti è la stessa idea che ha avuto almeno un altro milione di persone. Stamattina su Facebook ho scoperto che almeno 3 dei miei contatti erano lì, aggiunte alle persone che conosco che ho incontrato lungo il decumano, direi che se ci mettevamo d’accordo per andare tutti insieme non ce l’avremmo fatta…
La seconda cosa che ho scoperto è che all’Expo sono tecnologici. Accorgersi sul passante a Certosa di avere dimenticato i biglietti a casa è tremendo, ma scoprire che se hai il pdf sullo smartphone entri lo stesso, è esaltante. Ti fa amare i tuo Paese e la tua città. E ti fa rivalutare il consorte rompicoglioni che non si fida di te e che ti chiede giorni prima di mandargli via mail i biglietti perché vuole vederli e averli anche lui.
Andare all’Expo rende diffidenti e stimola i peggiori sentimenti nascosti in fondo a te. Se sei in coda e davanti a te c’è una gentile signora anziana che ti fa anche un po’ pena perché la vedi sola e per così tanto tempo in piedi, soffoca il tuo istinto empatico. Quando starà per toccare a te a entrare nel padiglione con la coda più lunga, si materializzeranno sotto i tuoi occhi almeno altri venti vecchietti arzilli e riposati che si uniranno a lei al grido “io sono con lei” e riusciranno a entrare tutti prima di te. E tu odierai gli anziani.
Come odierai i neonati e i loro baldi genitori che con aria tronfia passeranno davanti a tutti con la loro carrozzina, dove il loro neonato, a cui non frega una cippa di expo, dorme beato. Provino loro a fare due ore di coda con tre figli dagli otto ai 13 anni e mi dicano chi avrebbe più bisogno di saltare la coda. E non lo dico solo per i rispettivi genitori, ovvero me, ma anche per tutti gli altri poveretti in fila. Se io ho provato l’istinto di sopprimerli, mi immagino gli altri disgraziati costretti ad assistere a dispetti, spinte, prese in giro ma soprattutto alla ripetizione a oltranza di “ho fame”, “ho sete”, “quanto manca”, “che palle” e il fatidico “devo andare in bagno”, che se anche hanno imparato da anni a gestire la loro vescica, hanno la capacità di percepire lo stimolo sempre quando ormai vedi l’ingresso a pochi metri da te.
In ogni caso assicuro tutti che si sopravvive. Certo, torni a casa chiedendoti cosa ci fosse mai al padiglione degli Emirati Arabi dove la fila era stimata di tre ore, oppure cosa potrebbe passare per il cervello a un palestinese nel padiglione di Israele, dove per venti minuti ti spiegano come Israele contribuisce ogni giorno a sfamare il mondo e a rendere il mondo ogni giorno migliore.
Ma capisci anche che in fondo vivere in uno Stato democratico non è poi così male, soprattutto quando vedi padiglioni dove si esalta l’imperatore, il re o il dittatore di turno. Noi almeno possiamo esprime il nostro dissenso ad alta voce anche con toni colorati quando chi ci governa fa una cagata: magari non serve a nulla, ma ti da l’impressione di essere libero.
Ed è già qualcosa. Perché in fondo “chi s’accontenta gode”.
In ogni caso la panca-molletta è stata la mia preferita…