Un panino alla Nutella

Sono nata e cresciuta in un quartiere alla periferia di Milano. Per 28 anni mi sono addormentata avendo come sottofondo il rumore delle macchine e dei camion della tangenziale, un rumore lontano e discreto ma incessante, costante, uno di quelli che se cominci a farci caso diventa fastidiosissimo e ti fa diventare pazzo.

Il quartiere dove sono cresciuta è rinchiuso tra tangenziale, ferrovia e aeroporto, un lembo di città costruito alla fine degli anni sessanta dove non manca il verde ma le case sono tutte uguali: stessa metratura, stessa disposizione. L’unica distinzione è quella tra chi sta nei tre locali e chi nei quattro. Nessuno ne ha solo due e nessuno ne ha cinque. Sono cresciuta tra stradine senza macchine che negli anni settanta erano stracolme di bambini della mia età e dove gli anziani erano rari.

Io dal quartiere dove sono cresciuta sono scappata.

Quando ho dovuto scegliere una casa per me, l’ho cercata “al di là della ferrovia”, verso il centro. Mi sono bastati un paio di chilometri. Volevo andare a vivere in un posto dove nessuno mi conoscesse, dove io non fossi “la figlia di”, “la sorella di”, “la nipote di”. La prima casa tutta “mia”, o meglio “nostra”, non aveva niente di regolare: non aveva l’ascensore, non aveva una pianta razionale, aveva un lungo corridoio e le stanze avevano la pianta trapeziodale. Al nostro numero civico c’erano ai piani alti attici bellissimi con terrazzi sui tetti di Milano, e ai piani bassi piccoli appartamenti abitati da persone anziane o nuclei allargati di famiglie dalle origini esotiche. Noi abitavamo a metà. Nonostante io abbia vissuto lì dieci anni, non ho mai conosciuto i nomi di tutti i condomini.

Poi però ci sono le sere dove si va tutti a cena dalla mia mamma, ovvero dalla nonna. Ritorno quindi per quelle strade dove ho imparato ad andare in bicicletta, ad andare sugli schettini, a guidare. Mentre in macchina i mie figli dietro di me chiacchierano, io rivedo la fermata dove ho passato ore della mia vita ad aspettare un autobus osservando e riconoscendo ogni singolo passante.

E mi rendo conto che per questa strada provo un sentimento contrastante di amore e odio. Mi rendo conto che non so chi siano le persone che adesso camminano lungo i marciapiedi e mi sento un po’ tradita, usurpata da chi è venuto dopo di me, ma allo steso tempo finalmente libera ed emancipata da questo quartiere.

So bene che quando sarò vecchia e rincoglionita e mi perderò per Milano, sarà qui che cercherò di tornare, saranno queste le case che cercherò di descrivere a chi vedendomi confusa e persa cercherà di aiutarmi chiedendomi “dove abiti?”. Ma so già che non le riconoscerò, perché già adesso non le riconosco più: non riconosco i negozi che negli anni sono cambiati, non riconosco i parcheggi, i dossi per limitare la velocità, i sensi unici. Non è più “casa mia”.

E con questi pensieri di un’allegria travolgente penso che questo post fa proprio cagare e che se non fosse tardi e se non avessi già lavato i denti, un panino alla Nutella ci starebbe proprio bene…

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