La Verità

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Sono sempre molto critica con il mondo cattolico e una certa parte del mondo cattolico è molto critica nei miei confronti e nei confronti di persone che la pensano come me, quelli che semplificando e in tono dispregiativo, vengono definiti i “cattocomunisti”.

Leggo, mi informo, e spesso quello che leggo è me per causa di sofferenza.

Sabato mi sono imbattuta in un post di un blog dal titolo “Queste 173 persone renderanno conto a Dio” a cui seguiva l’elenco dei 173 senatori che hanno votato la fiducia alla proposta di legge Cirinnà.

Quindi anche io, che scrivo e rendo pubblico il mio pensiero, come loro dovrò rendere conto a Dio.

Mi sento sotto accusa, mi definiscono una traditrice della Verità, una peccatrice.

Ed è inevitabile per me pormi delle domande: starò sbagliando?

Nel vangelo di Matteo, capitolo 7 versetto 15, si dice “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci”.

Starò forse seguendo dei lupi travestiti da agnelli? Come faccio a riconoscerli?

Chi accusa chi la pensa come me, cita spessissimo San Paolo, Papa Giovanni Paolo II e Papa Ratzinger, e spesso critica duramente certe posizioni di Papa Bergoglio. Eppure l’elezione del Papa avviene grazie all’intervento dello Spirito Santo, e se papa Ratzinger ha compiuto un gesto straordinario e mai visto prima, ovvero rinunciare al papato per lasciare il posto a Papa Bergoglio, non posso non pensare che l’abbia fatto sotto l’illuminazione dello Spirito Santo.

Sono piena di dubbi e cerco risposte, perché ne ho bisogno, ne ha bisogno la mia fede.

Ma la risposta forse mi viene ancora dal capitolo 7 del Vangelo di Matteo (che credo si sia capito è il mio preferito) quando scrive al versetto 16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi”.

I loro frutti…

I miei frutti sono il mio lavoro, i miei amici, i miei figli, la mia famiglia.

I primi versetti sempre del capito 7, recitano così: 1 Non giudicate, per non essere giudicati; 2 perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. 3 Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? 4 O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? 5 Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.

I versetti più avanti continuano così: 21 Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22 Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? 23 Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.

Ogni giorno combatto con la mia trave per cercare di vedere bene chi ho difronte, e non posso non riconoscere le sofferenze di chi è discriminato, giudicato, emarginato. E non posso non vedere chi sono quelli che si danno da fare veramente per il prossimo, chi veramente lavora e soffre per garantire a tutti pace e serenità, chi si sporca le mani, chi accoglie senza chiedere niente in cambio, chi non giudica. Non posso non vedere i loro frutti. E mi spiace dirlo, ma non sono quelli che oggi mi accusano di tradire la Verità.

 

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Grazie del matrimonio

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Io vorrei ringraziare le famiglie arcobaleno e le coppie omosessuali per aver risvegliato l’interesse nazionale riguardo al matrimonio.

Mai come in questi mesi ho sentito parlare del valore del matrimonio come elemento fondante per la nostra società. Come sia importante per dei bambini avere un padre e una madre con cui vivere e con cui condividere la quotidianità.

Grazie a loro i giornali hanno cominciato a citare e a ricordarci i diritti e i doveri dei coniugi così come vengono formulati durante la cerimonia del matrimonio civile e per un po’, grazieaDio, sono scomparse le battute facili e scontate sulle vecchie coppie che non si sopportano più, dove lei è una rompicoglioni e lui pensa solo al calcio e ai rutti, per dare spazio a immagini edificanti di donne madri devote alla famiglia, pilastri incrollabili della casa, e uomini eroi pronti a dare la vita per le proprie donne. Ci hanno ricordato come tra i vari doveri ci sia anche la fedeltà, il sostegno reciproco, la condivisione di mezzi e possibilità, a seconda del proprio genere e della propria attitudine. Che bello sentir parlare così bene della bellezza delle famiglie, della grandezza e della potenza del matrimonio.

Dispiace solo che, a quanto pare, quelli a cui interessava veramente tutto questo continueranno a non beneficiarne…

Eh… mi spiace cari omosessuali: tanta bellezza per voi è troppo, non potete capirla, figuriamoci viverla…

È per questo che noi eterosessuali, noi che crediamo così tanto nel matrimonio e nella famiglia, potremo continuare a scegliere se sposarci o convivere, potremo continuare a separarci, a divorziare e potremo continuare a crescere i nostri figli con più figure materne e paterne (il fidanzato della mamma, la compagna del papà, la exmoglie del papà, l’exmarito della mamma ecc.). Perché noi siamo uomo e donna. Continuerà a bastarci un assegno mensile per sparire dalla vita dei nostri figli (tranquilli, con un bravo avvocato potremo continuare a farlo anche senza assegno) perché una donna può crescere benissimo un figlio da sola, l’importante è che lo spettro dell’uomo che li ha abbandonati rimanga vivo nella famiglia, perché, si sa, è importante che ci sia un uomo, anche se presente solo negli incubi. Potremo continuare ad andare all’estero a farci ingravidare con spermatozoi, ovuli e uteri altrui potendo poi riconoscere tranquillamente come nostri figli anche quelli che non hanno poi proprio tutto il nostro patrimonio genetico. Potremo bombardarci di ormoni fino allo sfinimento pur di avere un figlio e potremo averlo anche a 50 anni. Potremo crescerlo come cazzo vogliamo, anche razzista, egoista, insicuro, perché sarà nato da un uomo e una donna e questo evidentemente è sufficiente. Continuerà a non contare una beata fava che nasca per amore, per disperazione, per ignoranza o per convenienza… L’importante sarà che al battesimo abbia accanto a se una madre donna e un padre uomo, meglio se sposati e che la gravidanza sia stata frutto di un atto sessuale, sperando che sia stato appagante almeno per uno dei due.

Potremo continuare a fare tutto questo tranquillamente.

E, direi, giustamente.

Però ogni tanto penso che se io fossi lesbica e mi dicessero che solo la famiglia eterosessuale è quella in grado di garantire la felicità dei figli… ecco… mi girerebbero un po’ i coglioni…

 

Vittime e carnefici

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Per lavoro in questi giorni ho dovuto documentarmi su chat, cyberbullismo e molestie in internet. Era un lavoro molto piccolo, poco impegnativo su cui pensavo di avere già le idee ben chiare.

Sono una frequentatrice di Facebook, ho un blog, ho figli adolescenti, in casa mia certe sere il wifi salta perché siamo connessi con troppi dispositivi contemporaneamente. Insomma, certe domande me le sono posta da tempo, mi sono già data delle risposte, ho assistito a incontri e discusso ampiamente di questi argomenti in modo formale e informale con molte persone.

Però in questi giorni mi sono resa conto come la preoccupazione maggiore di noi genitori sia che i nostri figli non diventino delle vittime. Eppure credo che il rischio maggiore sia che diventino carnefici.

Siamo per natura e ruolo portati a difendere la nostra prole: dai prepotenti, dalle ingiustizie, dalle sconfitte, dai dolori. L’istinto è sempre quello di proteggere e, aimè, giustificare i nostri esserini. Li guardiamo e inevitabilmente rivediamo in loro i neonati indifesi, profumati e morbidosi che sono stati ma che, che ci piaccia o no, non sono più.

Tendiamo, anche di fronte all’evidenza, ad usare l’espressione, “sì, però…” e non ci rendiamo conto che è proprio quel “però” che spesso ci impedisce di difenderli da loro stessi. Ha picchiato il compagno? Sì, però è stato provocato… Ha umiliato la compagna di classe? Sì, però anche lei lo tampina tutto il giorno… Ha fatto il pirla con i compagni? Sì però anche loro lo incoraggiano… Ha scritto insulti sul gruppo di whatsapp? Sì, però stava solo scherzando… Ha sputtanato l’amico rivelando a tutti le sue confidenze? Sì, però anche lui, non doveva confidarsi…

Siamo tutti un po’ vittime e carnefici, e se lo cantava Umberto Tozzi più di vent’anni fa, forse non è un concetto così difficile e originale.

Come facciamo a insegnare ai nostri figli a difendersi da soli se noi per primi non gli facciamo notare quando sbagliano loro stessi? Come faranno a capire che una cosa è sbagliata se noi per primi la giustifichiamo? Come faranno a capire il significato della parola “difesa” se insegniamo loro che se loro subiscono è sbagliato ma se loro causano è giusto? Come faranno a capire quanto valgono se noi per primi spianiamo loro la strada togliendo ostacoli e responsabilità? L’adolescenza è già un casino di suo e sono convinta che ‘sti poveri esseri abbiano bisogno di certezze. E le certezze le chiedono a noi adulti, nonostante capiscano benissimo la nostra inadeguatezza, i nostri limiti e le nostre contraddizioni. Credo che il loro desiderio più grande sia quello di essere capiti, capiti veramente, ma non giustificati. Questo significa che, anche se sembra assurdo, in realtà loro vogliano essere sgamati quando mentono, quando ci raccontano una balla, quando fanno una cazzata. Sono convinta che loro non vogliano farci semplicemente fessi, ma vogliono che noi capiamo il perché vogliono farci fessi.

Eppure so bene che, per noi genitori, passare per fessi è molto più semplice: ci impedisce di vedere i nostri stessi errori, ci evita la fatica di porci delle domande e cercare delle risposte, ci evita di metterci in discussione, di metterli in discussione e ci consente di essere sempre orgogliosi della nostra prole a prescindere.

Ma forse quello che loro ci stanno chiedendo è di essere orgogliosi della loro capacità di rialzarsi, della loro capacità di capire i propri errori e del loro coraggio di pagarne le conseguenze. Di essere orgogliosi della loro voglia di fare sempre del proprio meglio per conquistarsi il proprio futuro anche e soprattutto rispettando le regole e gli altri, della loro determinazione a non salire la propria scala verso il successo usando gli altri come gradini ma allo stesso tempo di non essere a loro volta gradini per la scalata di altri.

Accettare i propri figli per quello che sono e non per quello che vorremmo che fossero certe volte è doloroso, ma ritengo che sia un passo indispensabile per aiutarli e affiancarli nella scoperta della loro bellissima e fortissima essenza. Quella vera. Qualunque essa sia.

Le colpe dei padri ricadranno sui figli

In questi giorni si fa un gran parlare dei diritti dei bambini, del loro diritto di crescere in una famiglia e di quale sia la famiglia a cui loro hanno diritto.

E giù studi, cifre, testimonianze alla ricerca dell’algoritmo che possa calcolare il coefficiente della felicità. Calcoli delle probabilità per prevedere chi soffrirà di alcolismo, di depressione, chi sarà violento. Sarà più depresso un bambino cresciuto con due mamme o un ragazzo che scopre la sua omosessualità in una famiglia molto religiosa? Avrà una vita più felice il dodicesimo figlio di una coppia che aborrisce qualsiasi sistema di controllo delle nascite o un secondo figlio di una famiglia che ha fatto i conti in banca e calcolato quanti figli può permettersi di mantenere fino alla laurea? Sarà più libero di fare le sue scelte il figlio di una coppia frikkettona e alternativa, o il figlio di due persone semplici timorate di Dio e del vicino?

Sinceramente non credo che esistano studi capaci di tener conto di una così grande vastità di variabili quante sono quelle che intervengono nella formazione di una persona. Anni di Law and Order dovrebbero ormai avercelo insegnato.

Ogni studio che cerca di valutare la felicità delle persone ai miei occhi ha sempre un non so che di fazioso. Soprattutto se fa parlare adolescenti. L’adolescenza per definizione è un momento di rottura con la propria famiglia. E grazie al cielo che è così. È quello che permette al mondo di andare avanti, di rinnovarsi. Pochissimi adolescenti parlano bene della propria famiglia e se lo fanno, ne sono certa, o c’è da preoccuparsi o più semplicemente, stanno mentendo.

Qualsiasi sia la famiglia di origine, ovviamente a meno che non ci siano soprusi e violenze, è una splendida famiglia e una pessima famiglia allo stesso tempo.

Perché ogni scelta educativa compiuta all’interno di essa segue un modello e ne rinnega il suo opposto. Ogni genitore si ritrova inevitabilmente a fare delle scelte e sono convinta che nella stragrande maggioranza queste scelte vengono fatte in buona fede, pensando di essere nel giusto, pensando di fare il bene della propria prole.

Lo sono convinti quei genitori americani che mettono in mano a bambini di dieci anni fucili e pistole e insegnano loro ad usarle. Lo sono convinti quelli che spronano i figli ancora piccoli in sport molto impegnativi in fatto di tempo e forze. Lo sono quelli che portano i bambini in chiesa come lo sono quelli che li portano in manifestazione. Ognuno fa le sue scelte e, volente o nolente, le impone ai propri figli. Lo facciamo quando scegliamo una scuola piuttosto che un’altra, quando scegliamo in quale quartiere vivere, quando li portiamo o non li portiamo a teatro o al cinema, quando gli permettiamo di vedere certe trasmissioni alla televisione, quando più semplicemente commentiamo con loro fatti di cronaca, quando esprimiamo giudizi su situazioni o avvenimenti, quando spettegoliamo, quando utilizziamo un linguaggio piuttosto che un altro, quando litighiamo, quando facciamo pace, quando ci aiutiamo in casa, quando preghiamo o prepariamo striscioni.

Ma i figli non appartengono ai genitori e questo i genitori dovrebbero ricordarselo sempre. Ed è qui che secondo me entra in scena lo Stato. Lo Stato deve garantire ad ogni bambino di poter essere curato, educato, amato… insomma tutte quelle belle cose che ci sono scritte nella dichiarazione dei diritti del bambino. Lo Stato le deve garantire a tutti, al figlio di omosessuali, al dodicesimo figlio, a quello che viene portato in chiesa e a quello che viene portato in manifestazione. Lo Stato ci deve lasciare liberi di trasmettere i nostri valori e i nostri credo ai nostri figli ma allo stesso tempo, pur nel rispetto delle scelte delle famiglie, ha il dovere di garantire i diritti di tutti e fare in modo che le mie scelte, il mio credo e i miei valori non ledano quelli degli altri. Ed è per questo che io posso, anzi devo, battermi perché i diritti dei miei figli vengano riconosciuti ma non posso battermi perché i figli di persone che la pensano in modo diverso dal mio, che hanno stili di vita diversi dal mio, ne vengano privati. Anche se fanno scelte diverse dalle mie. Anche se credono in qualcosa che non è quello in cui credo io. Lo Stato deve fornire a tutti i bambini gli strumenti per poter crescere liberi per poter fare poi un giorno le proprie scelte in autonomia. Grazie o nonostante la propria famiglia. Se vorrò mettere un velo sarà per una mia scelta libera, e non perché così vorrà mio padre. Se la donna o l’uomo che mi ha cresciuto e amato, e io riconosco come genitore, muore, io devo poter ereditare e devo poter rimanere con l’altra donna o uomo che mi ha cresciuto perché è un mio diritto e non in virtù di una scrittura privata depositata da un notaio che per essere valida devo far riconoscere da un giudice con una sentenza che dovrò pagare e aspettare per anni.

Sono convinta che la famiglia sia fondamentale per il benessere dei bambini e della società. Ma sono anche convinta che ci possano essere tanti tipi di famiglie e che l’amore è molto più creativo e sorprendente di quanto ogni tanto siamo portati a credere. Basta saperlo riconoscere.