E vissero per sempre felici e contenti

Che cosa devo dirvi… sono passati 17 anni, quello che dovevo scrivere l’ho già scritto gli anni scorsi… Lo so, ci si aspetterebbe un bel post romanticoso, commuovente… ma proprio non mi viene…

Quello che mi viene in mente sono solo numeri: a fine luglio compio 46 anni, e sempre a fine luglio, il giorno dopo il mio compleanno, fanno 23 anni che io e il consorte stiamo assieme, di questi 17, con oggi appunto, come marito e moglie.

Abbiamo cambiato 3 case, abbiamo avuto 3 figli, io ho cambiato 3 posti di lavoro. Abbiamo avuto 2 moto (sue), un camper (nostro) e 3 auto (una mia, una sua, una nostra). Non conto quelle aziendali, perché non sono mai state nostre.

Chissà quanti chilometri abbiamo fatto insieme, quanti film visti, quante litigate, quante cene, quante colazioni, quante pizze, quanti bicchieri di prosecco. Quante ore passate sul divano, o seduti al tavolo della cucina, lui con i suoi elenchi di cose da fare e io con la mia anarchica ansia organizzativa. Quanti viaggi progettati, quanti traghetti prenotati, quante guide comprate.

Potrei dirvi che è sempre come il primo giorno, che il tempo è volato, ma chi vive con un’altra persona da tanti anni sa che mentirei.

Il tempo è passato, eccome, e ha lavorato duramente, su di noi, sui nostri sogni, le nostre certezze e le nostre speranze. E non sempre ha fatto un cattivo lavoro.

Però vivere insieme non è sempre facile, la storia del “e vissero per sempre felici e contenti” certi giorni ti sembra proprio una “favola”… sono i giorni in cui ti senti più simile a Sandra e Raimondo, ma con poca voglia di ridere.

Eppure siamo ancora qui. Nonostante tutto e nonostante noi.

Perché poi ci scappa sempre una risata, perché c’è sempre una passeggiata nel bosco, gli amici che ti prendono in giro, un temporale estivo.

E siamo ancora noi, e siamo ancora qui.

E ne vale ancora la pena.

 

 

 

 

 

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Ancora noi e loro

Dai, confessatelo, non abbiate paura… quando avete letto della strage nel locale di Orlando una vocina in fondo in fondo a voi ha detto “ah, bè, erano gay”.

Quando poi avete visto le foto delle vittime, alcuni con quelle sopracciglia rifinite, la vocina si è fatta più rassicurante “tranquillo, non sono come te”. Ovviamente mi riferisco a noi, eterosessuali morigerati, timorosi di Dio e delle convenzioni sociali. E delle pinzette.

Perché è così: quando succede qualcosa di terribile la prima cosa che il nostro cervello fa è cercare le differenze, trovare tutti quei piccoli elementi che possano mettere distanza tra l’orrore e noi. Più elementi di distanza troviamo tra noi e le vittime, più l’orrore si affievolisce. Ecco perché Parigi ci ha così colpito, perché per locali il sabato sera ci andiamo quasi tutti, perché ai concerti ci andiamo quasi tutti. Poi però abbiamo pensato che quel gruppo americano in fondo non lo avevamo mai sentito, che Parigi in fondo non è Milano…

Forse è spirito di sopravvivenza, forse è stronzaggine, ma, siamo sinceri, lo facciamo tutti.

Quello che però io non giustifico è chi cavalca questo processo mentale, chi da voce, fiato, potenza e forza a quella vocina anziché ridurla e riconoscerla per quello che è: paura.

Succede anche ogni volta che si parla di rifugiati e immigrati: fa troppa paura riconoscerli esattamente come noi e così… via alle differenze: “quando eravamo noi a emigrare nessuno ci aiutava”, “son dei poveracci, ci rubano il lavoro, le donne”, “si fanno mantenere a nostre spese”, ” ci rubano le case”. E ci sarebbe da ridere almeno fino a che non capisci che chi lo asserisce è serio… E ci sarebbe da ridere anche di fronte ai dati più che verificati che attestano che oggi sono molto di più gli italiani che emigrano rispetto agli stranieri che arrivano e che i nostri cari emigranti vanno soprattutto in Paesi in cui possano beneficiare di strutture, assistenza, istruzione e sanità. E mi spiace dirvelo, se ne beneficiano non è sempre perché sono “bravi”. Vanno via per stare meglio, esattamente come quelli che arrivano. Anzi, chi va via è per conquistarsi un tenore di vita migliore, quelli che arrivano lo fanno per sopravvivere.

Povera Italia… Arroccata da sempre sul “noi e loro”, alla continua ricerca di quel benedetto “noi” che si definisce sempre in base a un “loro” per sentirsi forte. L’Italia del furbo, di quello che trova la scorciatoia, di quello che se ne frega degli altri, che pretende i suoi diritti e se fotte allegramente di quelli degli altri. Che se riesce a saltare qualcuno nella coda è orgoglioso, salvo poi insultare con veemenza chi gli rubato il posto in fila. Povera Italia… non ha ancora capito che più il “noi” è vasto, più è forte. E sì che Nemo che si libera dalla rete lo abbiamo visto tutti… Eppure, continuiamo a voler entrare nel cerchio del “noi” dei privilegiati, dei pochi eletti, di quelli che devono stare meglio di “loro” perché è un loro diritto.

Sto divagando, lo so. Perdonatemi, avete ragione voi. È successo ad Orlando, mica in Italia… Ma dove cavolo sta Orlando? Florida? La Florida è quella a sinistra della mappa degli Stati Uniti, giusto? Ah, no, quella è la California… È successo perché erano gay, non per colpa dei migranti. O forse sì: l’attentatore non era afgano? Ah, è nato in America, cresciuto in America, bè però i genitori erano afgani, no? E poi si sa, gli americani comprano le armi come fossero elettrodomestici… Sì, però se almeno uno di “quei gay, poverini”, avesse avuto una pistola, tutto questo non sarebbe successo, no? Eh, anche in Italia dovremmo poterci armare per difenderci. Eh sì, difenderci da “loro”. Metti che mi entrano in casa di notte e mi rubano tutto mentre dormo? Dovremmo poterci armare… Dovremmo poter comprare le armi come si comprano gli elettrodomestici. Gli americani sì che hanno capito tutto.

La strage di Orlando è terribile. È terribile che un ragazzo nato e cresciuto negli Stati Uniti arrivi a fare questo. È terribile che una propaganda di morte, una visione così abietta del valore della vita umana faccia così tanti proseliti in società e in Paesi liberi, dove in teoria ognuno ha il diritto di vivere in pace. O almeno soltanto di vivere. Chiunque egli sia.

Semplicemente vivere.

 

Via Larga

lazy-boy-recliners-1.jpgCi sono persone dalla volontà di ferro: non bevono, non fumano, non mangiano nutella, leggono libri, non hanno l’account Facebook, vanno a correre la mattina presto, evitano le proteine animali e alle 19.30 hanno già la cena pronta… Sono sempre in orario, si ricordano tutte le scadenze, hanno sempre il modulo giusto compilato, una torta in forno e i capelli in ordine.

E poi ci sono le persone come me, con una forza di volontà che vale una cippa.

Le persone come me sembrano nate per avere una dipendenza. Sono quelle che guardano troppa TV, che giocano ore a Candy Crush, che mangiano la nutella con il cucchiaio, che seguono fiction televisive compulsivamente e che vanno in crisi d’astinenza alla fine di ogni serie.

Sono quelle che smettono di fumare con una certa regolarità, che comprano cibi precotti, quelle che la mattina allungano la mano per prendere il cellulare e dopo aver spento la sveglia controllano Facebook e le mail, quelle a cui la parola “dieta” fa venir fame come nemmeno il cane di Pavlov al suono della campanella.

Ci dimentichiamo gli appuntamenti perché ci siamo dimenticati di segnarli su Google calendar, che sarà anche comodissimo ma per impostarlo c’è bisogno di quei tre neuroni che noi non possediamo, perché altrimenti saremmo persone diverse da quello che siamo. Saremmo efficienti.

Siamo quelli poco sani, un po’ pigri, un po’ depressi, alla continua ricerca della forza di alzarsi dal divano per andare ad afferrarla sta cavolo di bellezza della vita.

Siamo quelli che le passeggiate in montagna ci piacciono ma è la preparazione dello zaino, degli scarponi, dei panini e la sveglia presto al mattino che ci mandano in crisi.

Siamo quelli che se c’è la coca cola allora stiamo a posto.

Siamo quelli che preparano sacchi d vestiti da dare in beneficenza, li lavano, li stirano, li piegano ordinatamente, salvo poi lasciarli nello sgabuzzino per un paio di anni.

Siamo consapevoli che sbagliamo, sappiamo di non essere molto simpatici, ci rendiamo conto di essere poco coerenti, un po’ una palla. Ed è per questo che spesso diamo la nostra disponibilità per fare cose assurde, impegnative, ambiziose. Per cercare di fare pace con la nostra coscienza. Spesso alle parole noi non facciamo seguire i fatti, ma se lo facciamo di solito ne usciamo distrutti.

Lottiamo quotidianamente con i sensi di colpa per quello che dovremmo fare, che vorremmo fare e quello che poi realmente facciamo. Invidiamo e ammiriamo chi si da da fare, vorremmo essere così anche noi, veramente!

Siamo quelli che in un giorno di vacanza, mentre mezza Milano e mezza famiglia è in montagna a fare passeggiate e a godersi la natura, noi siamo in via Larga a rinnovare il certificato elettorale, perché passi il referendum a cui non abbiamo votato perché proprio non ce l’abbiamo fatta ad andare a rinnovarlo, ma per il sindaco, sì, insomma, bisogna proprio votare…

Comunque oggi in via Larga ho avuto la certezza che siamo in tanti.

Veramente tanti.

Grazie, a tutti. Perché dopo un’ora di coda sul marciapiede per poter entrare nel palazzo dell’anagrafe e un’altra ora in attesa che il mio numero venisse chiamato, mi sono resa conto che non sono sola…