E poi Nizza.
Altri nastri a lutto, altri pray for…, altri Je suis…
E questo senso di stanchezza, di rabbia, di impotenza, di paura.
È una guerra nuova, senza confini, senza campi di battaglia, senza soldati, senza divise, senza prime linee e con nuove armi. Armi potentissime: esseri umani.
Le armi efficienti sono poveri disgraziati che non hanno nulla da perdere. Vai a leggere le loro storie e sono sempre povere storie, che parlano di immigrazione, di emarginazione, di rabbia, di voglia di vendetta. Questi piccoli esseri umani sono esseri insoddisfatti, poveri o ricchi che siano, per i quali la loro vita in primis non ha nessun valore, figuriamoci quella degli altri.
Io mi chiedo, quanto può essere misera e priva di bellezza la vita di un uomo per scegliere di trasformarsi volontariamente in un’arma di distruzione di massa? Come si possono disinnescare queste bombe con le gambe che camminano invisibili nelle strade di tutto il mondo?
“Non esiste pace senza giustizia” e questo credo sia il grosso problema della nostra epoca.
E mi spiace, ma non sarà alzando barriere, non sarà alimentando l’odio e la diffidenza che si neutralizzeranno questi poveri esseri umani. Perché sono già qui, perché ci siedono accanto sull’autobus, perché sono sparsi per il mondo come piccole mine antiuomo pronte a saltare. Attaccate a un sito internet a drogarsi di esaltazione.
E chissà perché mi viene in mente un episodio di tanti anni fa. Ero su un autobus, di notte, tornavo a casa e non ero tranquilla. A un certo punto salgono dei ragazzini e cominciano a fare battute nei miei confronti sempre più pesanti e si avvicinano sempre di più. Io comincio ad avere veramente paura, quando, mentre scherzano tra loro, sento chiamare per nome uno dei ragazzini. E riconosco quel nome e quel ragazzino. Avevo fatto la supplente in classe sua quando lui era un bimbetto di sette anni. Mi faccio coraggio, sfodero il miglior sorriso che la paura mi permette di fare e chiedo “ma tu sei … del campo di via…?” Lui mi guarda ci pensa un po’ su e poi scoppia a ridere. E mi dice: “A mae’, non t’avevo riconosciuta!” Alla fine mi ha presentato gli amici e ci siamo raccontati come stavamo. Quando è arrivata la mia fermata sono scesi anche loro e mi hanno accompagnato un pezzettino, perché “maè, di notte è pericoloso…”.
Ecco, io vorrei che bastasse così poco per neutralizzare queste nuove armi. Vorrei ci fosse qualcuno che li potesse chiamare per nome questi esseri infelici, che riuscisse a sorridergli nonostante la paura e potesse così disinnescare la miccia pronta a saltare. Vorrei che qualcuno riuscisse a farli ridere, a fargli pensare alle cose belle che hanno, che li aiutasse a incanalare la propria frustrazione in una lotta pacifica per ottenere giustizia, in un modo che anche loro un giorno possano beneficiarne.
Ma mi viene anche in mente l’ultima scena del film “L’odio”: “È la storia di una socità che precipita e che mentre sta precipitando si ripete per farsi coraggio: “Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene”. Il problema non è la caduta ma l’atterraggio”.