In questi giorni ha fatto la sua apparizione una campagna organizzata non so bene da chi, che mostra alcuni bambini siriani con un cartello in mano che invita noi occidentali a cercar loro piuttosto che i Pokémon. Sono bambini forse originari delle città Siriane che in questi giorni vengono bombardate e che sono ormai allo stremo per mancanza di rifornimenti. Sono città dove i bambini muoiono.
La campagna è ad affetto, soprattutto per una come me, che Pokémon go se lo è già scaricato e ogni tanto prova a giocarci anche se non ho ancora ben capito come funziona. Ho visto quei cartelli e ho pensato “che cazzata: io i Pokémon li trovo camminando per strada, il bambino siriano come cavolo faccio ad andarmelo a prendere?”.
Ma quel cartello mi è rimasto in mente, e adesso agni volta che cerco un Pokémon mi sento un po’ in colpa.
È un po’ come quando da bambina non volevo mangiare nulla e mia nonna mi diceva “pensa a chi non ha niente da mangiare, pensa ai bambini in Africa che muoiono di fame”.
Oggi a nessun genitore verrebbe mai in mente di dire a un bambino di mangiare quello che non gli pace pensando a chi non ne ha, innanzi tutto perché il bambino ti risponderebbe “non dir cazzate” e poi perché manuali di psicologia infantile ci hanno insegnato che instilleremmo nel bambino un senso di colpa sbagliato, dal momento che lui non c’entra nulla con la fame nel mondo, e poi perché in realtà spesso oggi il problema è farli mangiare di meno ‘sti benedetti figli.
Pensandoci bene, credo che ci sia una netta differenza tra quello che mi sentivo dire io quando ero piccola e quello che si sentono dire i mei figli ogni giorno.
Io sono cresciuta nella convinzione di essere una privilegiata. Il fatto di poter studiare, di avere una casa, di poter fare le vacanze, di poter viaggiare, erano percepiti da me come qualcosa che avevo ricevuto immeritatamente e che era mio dovere fare sempre del mio meglio per onorare questo privilegio.
Nella mia ingenuità infantile ho sempre pensato di venire da una famiglia “benestante”, fino a quando all’università ho conosciuto i veri “benestanti” e mi sono resa conto della reale posizione sociale in cui ero collocata.
Per i miei figli è diverso. Sono immersi in una società dove si sentono continuamente ripetere che c’è qualcuno che gli sta portando via quello a cui loro avrebbero diritto. Non avranno la pensione, non avranno un lavoro sicuro, non sono nemmeno sicuri di entrare all’università, che comunque non è più quella di una volta. È sempre colpa di qualcuno, dei politici, dei professori, della scuola che non funziona, della sanità malata.
Tutto sembra essere dovuto e la responsabilità di tutto quello che non va è sempre di qualcun altro. E noi genitori spesso siamo i primi a sostenere questo, cercando spasmodicamente la scuola migliore, preoccupandoci dei professori che avranno, degli amici che frequentano, i corsi, gli sport. I nostri figli hanno diritto al meglio.
E poi arrivano ‘sti benedetti bambini con ‘sto cavolo di cartello con il Pokèmon.
Comincio sempre più a credere che pensare ai bambini in Africa quando non volevo mangiare mi abbia fatto bene, nonostante l’assurdità della frase.
Credo che essere cresciuta con un po’ di sensi di colpa non mi abbia fatto male.
Credo mi abbia insegnato ad apprezzare quello che ho e a tenere il cuore un po’ più aperto.
In una settimana è successo di tutto, temo che ci aspettino ancora giorni difficili e so già che mantenere il cuore aperto sarà complicato. Non posso andare in Siria a prendermi i bambini, non posso cambiare il mondo, non posso prendere un barcone e andare per il mediterraneo a salvare solo i buoni e lasciare i cattivi annegare, non posso prendere quelli che si stanno preparando a farsi saltare e portarli al mare a fare una nuotata.
Come tutti ormai anche io sull’autobus, in metro, al supermercato guardo con diffidenza chi ha tratti somatici diversi dai miei. Le donne velate continuano ad essere un enigma per me e a mettermi a disagio, perché io proprio non le capisco.
Ma voglio essere ancora aperta e accogliente, voglio continuare a sentirmi una privilegiata e voglio fare del mio meglio per condividere questo privilegio aprendomi al mondo senza diffidenza e senza paura. Voglio continuare nel mio piccolo a non rendermi complice della costruzione di muri, voglio continuare a sostenere chi si prodiga per la pace e i diritti di tutti.
Voglio continuare a credere che tutti gli esseri umani hanno diritto alla pace e alla felicità.
Voglio continuare a sentirmi inquieta difronte a dei bambini che muoiono, non solo se questo avviene in Francia o in Germania, ma anche in Siria, in Afganistan, in Iraq.
Voglio continuare a sentirmi responsabile di quello che succede nel mondo.
Lo so che dicendo questo rientro nella categoria dei “buonisti”, e questa cosa un po’ mi fa incazzare, perché sono stufa del cinismo che c’è, delle soluzioni facili “tutti a casa” perché non vogliono dire niente, perché non sono soluzioni. Cominciassimo a capire chi abbiamo come vicino di casa, cominciassimo a parlarci, cominciassimo a conoscerci, forse sarebbe più semplice isolare e individuare i “cattivi” e magari toglieremmo un po’ di facile manovalanza a chi vuole diffondere paura e terrore.
Perché io non voglio aver paura.
Buonista un cazzo.
Ecco quando parli così ti do la delega.
(Non per fare il rompino, ma i sensi di colpa non ci migliorano. Al massimo il senso della misura che ci dà una visione globale… Quello sì che ci rende migliori se vogliamo)
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Dici che mi sono fatta prendere un po’ troppo la mano? 😜 si, comunque hai ragione…
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