Un banco di scuola

Quando avevo sedici anni e i miei genitori andavano alle riunioni alla mia scuola, pensavo che loro fossero sereni, decisi, e mi preoccupavo solo del loro ritorno a casa, della faccia che avrebbero fatto.

Non so come stessero i miei genitori, ma so come mi sto sentendo io in questi giorni di prime riunioni.

Arrivo davanti al portone di questi licei e mi sudano le mani.

Mi siedo a quei banchi così simili a quelli dove mi sedevo io e mi sembra di avere ancora sedici anni. Quando entrano i professori ho un sussulto. Gli altri genitori mi sembrano le mie vecchie compagne: ci sono quelli svegli e ironici, quelli seri e composti, quelli oggettivamente antipatici, quelli che si mettono in mostra e quelli che tacciono all’ultimo banco.

E sudo. E torno ad avere sedici anni.

Io ho odiato le mie magistrali.

Odiavo la suora che scorreva i nomi per decidere chi interrogare, odiavo le preferenze che facevano le prof, odiavo quella costante sensazione di essere sempre giudicata.

C’erano giorni che all’ultima ora scrivevo su un foglio i numeri da 50 a 0 e ogni minuto che passava ne cancellavo uno con una crocetta.

Tutto quello che volevo era uscire di lì, togliermi quel grembiule di un verde imbarazzante e tornare a respirare.

Studiavo il minimo sindacale per avere una media accettabile e ricordo di aver studiato con piacere solo alcuni argomenti di psicologia, didattica e filosofia. E la cosa strana è che la prof che insegnava queste materie era oggettivamente la più stronza. Per cui so benissimo che i prof stronzi spesso non sono i peggiori.

Poi però uscivo e avevo gli scout, dove stavo bene, avevo gli amici e mi sentivo al posto giusto.

In queste sere, seduta a quei banchi, mi sento estremamente solidale con i miei figli. Ricordo la fatica di passare le giornate con compagni che non ti scegli, la frustrazione di avere prof per i quali tu sei solo uno dei tanti, la fatica della costanza che bisogna avere, che appena molli un secondo il 4 è in agguato.

Il mio ruolo di madre mi impone di spronarli, di rompergli le palle, e ogni tanto mi dimentico che non è facile.

Ed è per questo che spero con tutto il cuore che anche loro trovino un posto dove stare bene, dove sentirsi al posto giusto, adeguati, in pace. Che potrebbe essere la loro stessa scuola, ma che potrebbe anche essere altro. Un posto che li ricarichi e gli dia la forza di affrontare poi anche i luoghi e le situazioni dove così bene poi non si sta.

Io ce l’avevo. E sarò sempre grata per questo.

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