Faccio la redattrice di libri di scuola. Freelance. È il lavoro che mi sono scelta, che mi è sempre piaciuto fare. Ho provato a insegnare, poi ho lavorato nella segreteria della redazione di un giornale, poi in uno studio editoriale e poi come dipendente in una grande casa editrice ma alla fine ho capito che la grande azienda e le sue dinamiche non facevano per me e che quella non era la mia strada. E così ho scelto di essere freelance. Ho aperto la partita iva, ho pagato le tasse, tutte, ho cercato di rispettare sempre le date di consegna, di non prendere mai troppi lavori per non rischiare di lavorare male. Sapevo che non mi sarei arricchita, ma ci credevo, veramente. Ho lavorato di notte, il sabato, la domenica. Sono vent’anni che Natale per me è solo un intralcio al mio lavoro. Con gli anni ho capito in cosa sono brava e in cosa no. Riconosco apertamente che ho dei problemi a vedere i refusi, che sotto stress non riesco ad essere precisa, che le scandenze mi mettono ansia, e che quindi le peggiori cazzate le faccio alla fine.
Però sono creativa, riesco a trovare soluzioni, ho esperienza e conosco bene i libri di cui mi occupo. Mi piacciono le novità, mi piace cambiare, difficilmente mi sentirete dire “si è sempre fatto così”.
La prima volta che sono entrata in uno studio editoriale era il maggio del 1997. Questo significa che faccio libri di scuola da 21 anni.
In 21 anni il lavoro del redattore è cambiato molto: quando ho iniziato c’erano le pellicole di stampa, per vedere una bozza a colori dovevo aspettare l’ultimo giro, le foto si ritagliavano da riviste e giornali e si mandavano dal fotolitista, per mandarti i file pesanti degli impaginati definitivi si usavano i datapack. Le bozze venivano spedite in buste con corrieri e fattorini e le ultime correzioni arrivavano per fax. Insomma… preistoria rispetto agli strumenti e al modo di lavorare di oggi.
Ma la voglia è sempre la stessa. Eppure, negli anni, il lavoro del redattore si è svalutato un sacco. O meglio… l’importanza di un bravo redattore ancora oggi è fondamentale per la riuscita di un libro, eppure, economicamente parlando, negli anni la retribuzione non è mai aumentata, ma al contrario è via via scesa. E questo nonostante io sia sempre stata pagata a prezzo di mercato. Anzi, in certi casi le case editrici per cui ho lavorato hanno cercato di venire incontro alle mie richieste, ascoltando pazientemente qualche volta anche le mie rimostranze.
È frustrante rendersi conto che se fossi sola, con quello che fatturo, io non potrei vivere. Che il lavoro che faccio, economicamente parlando, non vale una cippa. L’unica soluzione, ed è quello che fanno tutti, è prendere molto lavoro. Il problema però, oltre ovviamente a trovare chi te lo dia, è che più lavoro prendi, peggio lavori. E se lavori male, l’anno dopo nessuno ti chiama.
Insomma, per la prima volta in 21 anni stasera mi sono chiesta se ne valga veramente la pena…
E non riesco a dormire…
Se non rischiassi di svegliare tutti, quasi quasi mi alzerei a stirare…