I correttori di bozze

Secondo me tutto è iniziato quando hanno smesso di pagare i correttori di bozze. Abbiamo cominciato a perdonare tutto. I cartelloni pubblicitari hanno cominciato a mettere gli accenti sbagliati alle “e” e nessuno se ne é… pardon… se ne è accorto. Poi hanno cominciato a esserci errori nei giornali e qualcuno se ne è accorto, ma poi si è detto “vabbè, è un refuso”, “vabbè, non è importante” e così pian piano ci si è abituati a leggere testi scorretti e ci si è detti “si capisce lo stesso”.

Io credo che sia iniziato tutto da lì. In modo omeopatico ci siamo abituati all’approssimazione, al pressapochismo, alla semplificazione, al “ma sì, va bene lo stesso”.

Poi hanno cominciato a pagare meno i giornalisti, a non assumerli, e loro poveretti hanno capito che se volevano campare dovevano scrivere minchiate, oppure gonfiare notizie, riportarle… magari non esattamente false, ma nemmeno banalmente vere, diciamo verosimili. Stravolgendo un po’ le cose, in modo da fare più scalpore, far venire qualche prurito in più, colpire la pancia e avere qualche visualizzazione in più. La cronaca è diventata storytellig e si è scoperto che alla gente le notizie così piacevano di più e anche se qualcuno faceva notare che non erano vere, la gente rispondeva “va bè, non importa, potrebbero esserlo”.

Da quando si è confuso il verosimile con il vero, abbiamo cominciato a credere a qualsiasi rappresentazione della realtà ci venga proposta. Perché crediamo solo a quello che vogliamo credere. E così sono fioriti siti e pagine Facebook dove si può leggere la qualunque che in confronto i giornaletti di gossip di Men in Black sono la Treccani.

Il terzo passo è stato farci credere che la cultura, lo studio, l’approfondimento erano “radical chic”. Anziché investire perché tutti potessero goderne, si è cominciato a dire che la cultura era snob, che non ce n’era bisogno. Che un idraulico ne sa più di un ingegnere, e non che l’ingegnere ha bisogno dell’idraulico almeno tanto quanto un idraulico ha bisogno di un ingegnere. La parola “professore” è diventata sinonimo di strafottenza e non di persona da cui attingere conoscenza, persona che per fortuna e capacità ha potuto studiare e da cui io potrei, anzi, pretenderei di imparare.

L’ignoranza è diventata una virtù e non una condizione da cui liberarsi perché estremamente invalidante, perché rende sudditi e manipolabili.

Con un pubblico sempre più ignorante, le case editrici hanno cominciato a stampare solo libri che potevano garantire guadagni e quindi hanno cominciato a fare cassa con autori che già potevano garantire migliaia di followers. Libri leggeri, poco impegnativi, veloci, basati molto sull’empatia e sulla vita vissuta, e molto poco sull’approfondimento, la ricerca, lo studio dei personaggi, della narrazione e della parola. E si è cominciato a pensare che questi libri di intrattenimento, di per sé non sbagliati, potessero bastarci, che fossero la nostra nuova cultura. E invece non sono altro che scambio tra pari: non fanno male ma non aggiungono niente, non ci arricchiscono, non ci elevano.

Insomma, per fare un paragone, hanno cominciato a dirci che il cashmere era da snob e che i golfini in acrilico avevano i colori più belli. Così la gente ha cominciato ad accontentarsi dell’acrilico e si è dimenticata di quanto sia bello il cashmere. Anziché chiedere il cashmere, pretenderlo, lottare per averlo perché è bello e caldo, ha cominciato a odiarlo e ora è disposta a tutto per un golfino in acrilico dai colori sgargianti, ma che puzza dopo dieci minuti e non tiene caldo.

Lo svilimento della cultura, degli intellettuali, degli scrittori.

Secondo me è iniziato da quando sono spariti i correttori di bozze. Quelli che ti fanno le pulci, quelli che leggono parola per parola, che ti segnano anche il doppio spazio, quelli di cui io ho sempre avuto un disperato bisogno.

Ma sì, dove è il problema? Refuso più refuso meno… Forse tutte le dittature sono iniziate così…

 

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3 pensieri su “I correttori di bozze

  1. Bellissimo e condivisibile al 100per100. Non è essere noiosi o radical chic pretendere che si scriva in modo corretto.
    È l’essenza stessa della nostra cultura e delle nostre radici. L’altro giorno ho seguito una discussione su questo argomento tra blogger, che avevano posizioni diametralmente opposte. Certo che tutti hanno diritto di scrivere e dire la propria, ma devono mantenere l’aspirazione a migliorarsi e a imparare dai professori, come dici tu. Senza parlare del fatto che chi scrive, a tutti i livelli di comunicazione, ha grandi responsabilità verso le giovani generazioni e il nostro livello culturale di domani.

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