La fine del viaggio

Una spiaggia sull’Adriatico.

Amici con cui chiacchierare e raccontarsi queste vacanze appena concluse.

Una macchina carica di vestiti sporchi, teli e costumi che hanno visto altre spiagge.

La voglia di tornare a casa ma non subito. C’è ancora tempo per l’ultima birra davanti al mare.

Doveva essere una sosta giusto per pranzare una volta scesi dalla nave ma si è trasformata ben presto in un altro bagno. Un ultimo pisolino sotto l’ombrellone. Ma sì, dai, ci fermiamo per merenda. Facciamo aperitivo? Però forse ci sta anche un panino per cena.

E quella domanda: perché non scrivi più?

Già, perché non scrivo più?

Poi un tramonto in autostrada, parcheggiare proprio davanti al portone, entrare in casa quando a Milano tutti dormono. La mia doccia, il mio letto.

E prima di crollare ripassare i posti visti.

Prima di partire non avevo idea di cosa fosse la penisola Calcidica. Si fa presto a dire Grecia, ma quando arrivi capisci che in realtà è Macedonia. Da qui è partito Alessandro, qui suo padre pose le basi del futuro regno di lui che fu il più grande, “che conquistò nazione dopo nazione ma quando fu di fronte al mare si sentì un coglione”.

Non ci sono le case bianche con le porte blu, ma boschi e pini a ridosso del mare. Un mare bello, trasparente, ma non certo esclusivo. Famiglie con materassini e altre amenità gonfiabili. Il costume scelto con cura per l’occasione e quello che ha visto già molte estati, comprato forse quando il corpo aveva altre forme.

Pochi italiani, o meglio, poche macchine italiane. Che poi scopri che sono guidate sì da italiani, solo che prima di venire a sdraiarsi in spiaggia sono passati a trovare i parenti in Romania, Bulgaria, Serbia. E ti guardano sorpresi: “perché siete venuti qui? Avete la Sardegna e la Puglia che sono bellissime”. Già, perché?

Altre macchine, grandi, lucide, comode, immagino costose. E le targhe sono sempre quelle: Romania, Bulgaria, Serbia, più qualcuna ungherese, poche macedoni e qualche sparuto turco.

Perché non scrivo più?

Non sempre i posti in cui vai sono come te li immaginavi. Capita che siano diversi, ti sorprendi a scoprire cose che non conoscevi, gente che non immaginavi. Eppure così simile a te, al posto dove vivi.

Giri per Salonicco, e ti sembra di essere a Milano.

La via centrale dei negozi come corso Buenos Aires, le vie con serrande chiuse e palazzi fatiscenti come certe viette nei dintorni di via Padova. Il quartiere universitario che tanto somiglia a Città studi. C’è pure un campo sportivo che ricorda lontanamente il Giuriati.

Fa solo più caldo e i ristorantini sono numerosi ed economici.  E c’è una collina che guarda il mare.

Il gruppo di anziani in albergo parla una lingua che non riconosco, ma, come qualsiasi gruppo italiano in gita, fa incetta di marmellate al buffet della colazione, parla ad alta voce e si prepara a uscire seguendo fedelmente la guida che li aspetta.

Poi lasci la città. Fai chilometri senza vedere case.

Lì, nell’interno, all’andata, una piccola deviazione ci ha portato nella regione dove sorgono le Meteore, monasteri ortodossi arroccati alla roccia, dove per entrare se sei donna devi avere la gonna e se sei uomo i pantaloni lunghi. Così diversi eppure così simili a certi monasteri del centro Italia. Quei luoghi dove per un attimo fantastichi di rimanere: “Ciao. Vi ho voluto bene, ma io rimango qui”. Guardi la vallata e ti senti così sicuro al di sopra del mondo, sopra le cattiverie, le sofferenze, le ingiustizie. Qui credere in Dio e nel suo sconfinato amore deve essere facilissimo.

Perché non scrivo più?

I nostri diciotto giorni sono passati così velocemente nella loro lentezza.

E siamo di nuovo qui, dove meno di tre settimane fa siamo saliti su una nave in ritardo di tre ore dopo una lunga attesa su un piazzale assolato.

Adesso quel piazzale lo abbiamo lasciato in cinque minuti, sollecitati da chi, sudando e imprecando, aveva il compito di far defluire una massa enorme di vacanzieri appena sbarcati.

Ed eccoci qui, su una spiaggia dell’Adriatico, dove amici che non vedevi da tanto, che non frequenti molto, sono il più bel “bentornati a casa”.

Ora sono a casa. Il lavoro mi guarda minaccioso, la lavatrice va a pieno regime, il cortile è pigro e silenzioso come capita solo in Agosto.

E mi è venuta voglia di scrivere.

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