Parleremo di altro

Quante calorie si usano per passare l’aspirapolvere?

Quante per cambiare le lenzuola?

Quanto autocontrollo per non prendere a schiaffi il figlio che ti urla “ti odio”?

Quanti bicchieri vengono usati in un giorno? Mi farà male bere ogni sera un bicchierino di Calvados? Meglio il lexotan?

Ogni quanto devo cambiare gli asciugamani?

Quanti giorni può durare la carne in frigorifero?

Come posso cucinare dei peperoni che stanno andando? E le carote mollicce?

Il vicino sta urlando contro di noi o contro quelli sopra di lui? Dovrei portargli una fetta di torta? Può essere pericoloso per lui? E se io sono infetta? Due mesi fa non sono stata bene: era covid? avrò sviluppato gli anticorpi?

Per portare giù la pattumiera devo mettermi la mascherina anche se non prendo l’ascensore?

Ho starnutito, devo provarmi la febbre?

Il tizio del palazzo di fronte che ha appena urlato “basta”, sta per ammazzare il figlio che continua a piangere? Devo preoccuparmi?

Perché in Lombardia va tutto a schifìo? Perché i cattivi sono orgogliosi di essere cattivi anche in questo momento? Quando finirà tutto questo?

Quando potrò tornare in montagna?

Chissà come sta Tizio? Chissà come sta Caio?

Perché non mi sento più buona e molta gente mi sta proprio sul caxxo? Perché mi arrabbio per niente? Perché alcune conversazioni su Whatsapp mi irritano? Perché sono così una brutta persona? Perché quello che vorrei fare adesso è poter mandare a quel paese un sacco di gente, anziché sentirmi solidale in questo momento difficile?

Veramente in questi giorni sto capendo chi mi vuole bene veramente e chi no? Veramente le sto conoscendo meglio, scoprendo lati bellissimi oppure si stanno dimostrando delusioni pazzesche e brucianti? Quante persone io stessa sto dimenticando che magari stanno pensando lo stesso di me?

Perché i consigli su come vivere bene in casa, su come trattare gli adolescenti in questo periodo, su come affrontare serenamente questi giorni hanno su di me un effetto che varia dalla rabbia alla depressione?

Oggi sono passate meno ambulanze di ieri?

Quale film potrei vedere stasera? Che cosa cucino a pranzo?

Quando potremo ricominciare a viaggiare? O perlomeno uscire…

Come faccio a consolare i miei figli?

Arriverà un vaccino? E l’alcool al supermercato? Quanto durerà la spesa che abbiamo fatto?

Ma come fanno gli altri ad avere una routine, a fare ginnastica, a tenere tutto pulito? Ma come riescono a studiare i ragazzi? E i miei amici medici, infermieri, magazzinieri, commessi, come fanno a gestire casa, figli e distanza di sicurezza?

E quelli che vivono in cinque in due o tre locali? E quelli che vivono soli? ok, lo ammetto, io quelli che vivono soli certi giorni li invidio un sacco…

E quelli che non si sopportano?

Riusciremo prima o poi a parlare di altro?

Perché non riesco a scrivere qualcosa di divertente, o perlomeno di intelligente?

E se finisco l’inchiostro della penna rossa, come faccio a lavorare?

La Quaresima finisce sempre a Pasqua, vero?

 

 

 

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Caro prof, cara prof

Caro professore, cara professoressa.

Ti immagino a casa a imprecare davanti a un computer, a scambiarti telefonate febbrili con colleghi alla ricerca di suggerimenti e aiuto per districarti nel mondo digitale. Sappi che hai tutta la mia stima e la mia solidarietà.

Adesso ti racconto però che cosa succede dall’altra parte dello schermo. Se hai figli tra i 12 e i 18 sai di cosa sto parlando, se ne hai più di due come me, forse capirai ancora meglio.

Credo tu sia cosciente che quando non li vedi in video-chiamata possono essere ovunque, anche sul water. Credo tu sappia che a margine delle lezioni ci sono innumerevoli chiamate su wa e battute su Instagram. Ma che spesso vale la legge del “mors tua vita mea”: se non hai capito, se no riesci a seguire, sono cavoli tuoi.

Immagino che tu ti aspetti da noi genitori un aiuto, una sorveglianza, qualcuno che li redarguisca e che vegli sul loro impegno e sulla loro costanza. Che ci sediamo accanto a loro a spiegare quello che non hanno capito, che ci dimostriamo tecnici informatici abili e ingegnosi. E che loro ci ascoltino.

Sappi che in questi giorni sta diventando complicato anche convincerli a lavarsi, o mettersi a posto la stanza, o alzarsi dal divano. Oppure, al contrario, contenerli nelle loro idee geniali tipo colorare la parete di colori assurdi, smontare biciclette o massacrarsi di ginnastica o fare il record di più film visti in un giorno. È complicato gestire i loro scatti di rabbia, prevenire la depressione, convincerli a fare qualsiasi cosa.

Probabilmente quando tornerai a scuola ti verrà naturale premiare chi è stato diligente, chi ti ha seguito fedelmente, chi ha approfondito, chi si è andato a vedere tutte le lezioni online di Harvard e tornerà che ne saprà più di te.

Ma ci sarà anche chi non avrà fatto una mazza. Chi ci avrà provato con risultati alterni, cedendo a quei cambi di umore così repentini e così frequenti nell’adolescenza, ma che in questi giorni sono così amplificati. È amplificata l’indolenza, la rabbia, il nervosismo, l’insofferenza…

Chiudi gli occhi e prova a immaginarti a 16 anni chiuso in casa con i tuoi genitori. 24 ore su 24. Immagina tua madre che oltre a dirti il pomeriggio “studia”, “non perdere tempo”, “pulisci la tua stanza”, lo faccia anche la mattina. Immaginati a non poter uscire quando non ne potevi più, a non poter sfruttare nemmeno i minuti o il tempo per andare e tornare da scuola.

Non so tu, ma io a 16 anni i miei non li sopportavo. Io, a 16 anni, appena potevo fare i contrario di quello che mi veniva detto, lo facevo.

Ecco, consapevoli di questo, credo che molte madri e molti padri stiano in questi giorni decidendo di mollare un po’ la presa. Perché le case sono piccole, la convivenza è difficile e “disinnescare” è diventata una priorità. Siamo consapevoli che questo tempo potrebbe essere sfruttato per studiare, recuperare, approfondire, ma ti assicuro che è dannatamente difficile. Preferiamo sfruttare le energie che abbiamo per cercare di parlarci, per conoscerci, per annoiarci insieme cercando il più possibile di non stressarci a vicenda. In questi giorni è sopravvivenza, nel vero senso della parola. Di solito, quando si litiga tra genitori e figli, uno dei due esce a prendere aria. Non possiamo farlo. Dobbiamo risolverla stando in casa. In questi giorni abbiamo tanto tempo e cerchiamo di lasciarglielo questo tempo, in modo che studiare diventi un’esigenza, un desiderio e non un’imposizione. Qualcuno ci arriverà prima, qualcuno dopo.

Tieni inoltre conto che non tutti i ragazzi possono chiedere spiegazione ai genitori se non capiscono qualcosa, non possono studiare insieme, che per studiare in questi giorni non ci vuole solo una forza di volontà pazzesca, ma anche una serie di circostanze favorevoli, tra cui un computer personale e una buona connessione. Non tutti ce l’hanno.

Ecco perché ti chiedo, quando tutto sarà finito, di tenere presente tutte queste cose quando farai il tuo giudizio. Chi avrà studiato un sacco ma non avrà voluto aiutare i compagni sarà forse da premiare? Chi avrà pensato solo a se stesso, chi avrà sfruttato tutte le proprie risorse senza condividerle con i compagni, senza preoccuparsi di chi non ha i mezzi, avrà veramente capito la lezione di questi giorni?

Tempi strani questi. Le valutazioni saranno soggettive e disomogenee. Il rischio più grande sarà quello di assolvere e condannare a prescindere. Sarà difficile per voi. Sarà difficile per noi.

Per adesso invece ti ringrazio per ogni volta che li hai fatti ridere, per ogni parola gentile che hai riservato a loro anche quando avresti voluto entrare nello schermo e prenderli a schiaffi. Per tutte le volte che hai detto “non importa”, per tutte le volte che hai creduto nella loro buona fede sopprimendo l’istinto primordiale di tutti prof a diffidare di qualsiasi scusa e a sentire puzza di marcio anche dove non c’è. Per ogni volta che hai cercato e provato una strada nuova per insegnare. Per ogni volta che non ti sei lasciato abbattere. Per ogni volta che hai capito che la tua fatica è anche la loro fatica, ed è la fatica di tutte le famiglie che vivono questi giorni così strani e difficili.

Caro professore, cara professoressa, spero di rivederti presto.

Viaggi dal divano

Quando cinque anni fa decisi di aprire questo blog e di chiamarlo “Viaggi dal divano” mai avrei pensato che un giorno questo nome potesse acquisire un significato così potente. Quando, un paio di settimane fa, cominciai a capire che sarei rimasta in casa per molto tempo, il mio primo pensiero fu “scriverò un sacco”. E invece no, non è andata così. I viaggi dal divano non sono più una cosa divertente. Ci sono stati imposti dagli eventi, dal senso di responsabilità, dalla paura e dall’ansia. Il divano, da simbolo di riposo e ristoro, è diventato il simbolo claustrofobico della perdita della nostra libertà di muoverci, di viaggiare, di incontrare persone, di poterle toccare, abbracciare, baciare. Il mio divano non è più il mio divano.

Però mi sono ricordata di uno dei primi post di questo blog. È quello del 19 gennaio 2015. Me lo sono riletto e ho ripensato a quando lo scrissi, al perché ho iniziato a scrivere un blog. Ho iniziato perché non stavo bene, perché avevo bisogno di tirare fuori tutto quello che mi stava divorando dentro, avevo bisogno di mettere ordine ai miei pensieri, anche a quelli vecchi, vecchissimi, di rielaborare la mia vita per capirla meglio, per fare pace con me stessa e con le persone che avevo incontrato lungo la mia strada. Quel cammino è stato compiuto con successo e si è concluso.

Adesso forse ne deve iniziarne un altro, ma sono ancora all’incrocio che guardo la mappa cercando di capire quale sia il sentiero da prendere. A differenza di allora però so che ce la posso fare e mi sento fortissima. Sono giorni difficili e lo slogan “andrà tutto bene” che anche noi abbiamo appeso alla finestra, so che non varrà per tutti. E tutti i miei pensieri vanno a tutte quelle persone a cui non sta andando tutto bene, perché sono tante, tantissime. Probabilmente a loro non va di scherzare, non va di cantare, accendere luci, fare applausi. Ed è pensando a loro che non riesco a essere leggera, anche se sono consapevole che scherzare e sdrammatizzare fa bene a tutti.

Insomma, non so cosa scriverò, quando scriverò. Probabilmente sarà più facile raccontare dopo, oppure diventerà una necessità stanotte. Non lo so.

Per ora volevo solo dirvi che ci sono e vi abbraccio tutti. Ci vedremo sotto l’ombrellone, ci guarderemo in faccia, ci vorremo più bene e ci racconteremo questi giorni assurdi ridendo e commuovendoci. Io non vedo l’ora.