5 marzo
Beni di prima necessità.
Gocciole, yogurt, latte e caffè.
La mia famiglia potrebbe sopravvivere mesi solo con questi.
In caso di estrema necessità le gocciole potrebbero essere sostituite da qualsiasi tipo di frollino, purché ci sia anche la Nutella.
Per quanto riguarda le relazioni sociali, quelle erano già al minimo, per cui tolto anche quel poco sono rimasti solo i parenti e Facebook.
In questo periodo in cui non ho nemmeno il lavoro a farmi compagnia, annego la mia solitudine, la mia frustrazione e la mia noia in Netflix. Tutti film italiani, quelli che piacciono a me. Dal più idiota al più lacrimoso, basta siano italiani. Ho visto la Pazza gioia che mi strappato il cuore, e molti altri di meno valore che per dignità non citerò.
Potrei darmi alle pulizie di primavera, darmi da fare per inventarmi un lavoro o prendere delle decisioni per quello futuro, mettermi a cucire, seguire di più i miei figli nello studio, cucinare nuovi piatti, fare torte. Ci sono le visite virtuali dei musei, i film della cineteca italiana. E invece niente. Quando finirò tutto sarò ingrassata di dieci chili, parlerò con monosillabi, i miei figli mi odieranno e a scuola i prof mi chiederanno perché non ho seguito di più i miei figli nello studio…
28 marzo
Non so voi, ma io non riesco a leggere. Non riesco a scrivere. Ma come in una sindrome masochista, cerco notizie, le spulcio, le analizzo.
Poi mi viene l’ansia o la rabbia e smetto, ma con la testa torno sempre lì.
Allora chatto con qualcuno, chiedo “come stai?”.
“Come stai?” Questa è la domanda che mi sento fare più spesso e che faccio più spesso. Come stai?
Però capita sempre più frequentemente che la risposta non sia l’agognato “bene”. E così comincio a pensarci due volte prima di farla.
Telefono a mia mamma un paio di volte al giorno. Se ci impiega più di tre squilli a rispondere parte la tachicardia. La prima domanda è “come stai?”
Pulisco, lavo, stiro, ma la casa è affollata, bisognerebbe farlo in continuazione, e così arriva il giorno che proprio non ne ho voglia.
Ho cucinato, come tutti. Pizza, lasagne, scaloppine, purè, patate al forno… io che vivrei di pasta al pesto e mozzarella. Mi abbatto sul divano e cerco su facebook e su Instagram qualcuno che ti faccia ridere. Ma anche i video, i meme non fanno più ridere. Non riesco più a leggere le storie personali di articoli e blog, perché sono così simili alla mia, o così diverse, o così cariche di dolore che sono per me insostenibili. Poi però mi imbatto in qualcosa che mi fa perlomeno sorridere e mi da la forza e l’ottimismo necessario per rialzarmi e mettermi a fare qualcosa di utile.
Guardo i mei figli e mi si stringe il cuore. Affrontano tutto come possono, come sono capaci. La casa per loro è la loro stanza, dove si rinchiudono e dalla quale escono solo per mangiare o per sfogare la loro frustrazione. E io ringrazio il cielo che abbiano almeno la loro stanza, che riescano ad avere un loro spazio. E poi c’è il terzo, che invece vaga per casa, irrequieto passando da momenti i cui ricerca coccole a momenti in cui ci urla che ci odia tutti. Si arrabattano con la scuola, cercano di studiare, ma non ho idea con quali risultati.
Io, loro, è come se vivessimo le cinque fasi del lutto tutte insieme, in ordine sparso più volte al giorno. Passiamo dalla negazione alla rabbia, dalla contrattazione alla depressione. Qualche volta sfioriamo anche l’accettazione. Avviene alla sera. Quando riusciamo a trovare un film che piace a tutti e cinque. Ci stringiamo sul divano, qualcuno sul tappeto e per un’ora e mezza proviamo a far finta di essere da un’altra parte.
7 aprile
Alla fine è arrivata. La depressione.
C’è stata l’ansia, poi la noia, poi la rabbia e l’insofferenza. E alla fine lei, la mia vecchia amica che ogni tanto fa capolino. Guardo dalla finestra la gente nella vietta. Bambini, cani, gente con le borse della spesa, gente che corre. E mi chiedo: ma l’unica stronza che non esce sono io? A questa domanda le mie amiche di aperitivi virtuali mi hanno risposto: “anna, tu normalmente esci una volta a settimana… hai altri ritmi”. Mi hanno fatto ridere. Perché è vero!
Io normalmente sto a casa un sacco. Io passo normalmente le mie giornate in casa, lavoro in casa, esco raramente la sera.
Ma normalmente un giro me lo faccio, qualche caffè con le amiche lo prendo. Anche solo prendere e portare i ragazzi alle varie attività mi permette di incontrare gente, di chiacchierare.
E adesso questa solitudine mi pesa, mi pesa un sacco. Perché io sono una solitaria, da sola sto bene, ma sono anche una chiacchierona, mi piacciono le persone e le loro storie. E adesso io non ho storie.
E così è arrivata la depressione.
Quella bella, quella che a ondate mi fa compagnia da quando avevo 18 anni.
Quella che mi fa vedere la realtà attraverso un filtro fumoso, quella che mi fa sentire inadeguata, inopportuna, quella che mi rende antipatica, pesante, che mi fa pensare che nessuno mi voglia bene, che io sia una brutta persona.
Tutto mi ferisce più di quanto dovrebbe, tutto mi offende più di quanto non sia offensivo. Non me ne frega più niente degli altri, sono stufa di cercare di essere empatica. Di pensare a come aiutare gli altri, di preoccuparmi per loro. Che vadano a quel paese.
“L’empatia è quella cosa che fa bene ma fa male.” (Grazie Argentero di esistere. Grazie Rai per aver prodotto Doc. Grazie sceneggiatori per questa perla di saggezza)
Insomma, odio tutti.
Poi però, come sempre, succede qualcosa.
Oggi è stata una telefonata. Con fare scientifico mi è stato detto: tranquilla, dura una settimana. Ancora un paio di giorni e starai bene. Le persone ti feriscono? Non ti capiscono? Pazienza, ogni tanto va fatta pulizia nelle amicizie: ne arriveranno di nuove, arriverà aria fresca. Oppure riscoprirai altre persone. Oppure tornerai ad essere simpatica.
Ci ho pensato dopo aver messo giù il telefono prendendo l’ultimo sole sul balcone.
In questo momento tutti sono concentrati su se stessi, lo sei tu, lo sono gli altri. Ognuno vede le proprie difficoltà e fa fatica a vedere quelle degli altri.
Io ci ho provato, e sono stata forse indiscreta e inopportuna, o solo fraintesa.
Pazienza.
Ho deciso, cambio aria. Smetto di chiedere alle persone “come stai?”, smetto di dare consigli non richiesti, smetto di stare male.
Magari con un po’ di coraggio stasera vado a buttare la pattumiera e faccio il giro del palazzo.
Vi tengo aggiornati.