8 aprile
Volevo fare la zuppa inglese. Tipo quella che faceva la mia nonna. Ho fatto quindi il ciambellone emilano. Poi dovevo fare la crema pasticcera, ma ho realizzato che per farla avrei dovuto far fuori un intero litro di latte. Ma il latte è contato per le colazioni dei prossimi sei giorni: abbiamo fatto i conti e dovremmo tirare fin dopo Pasqua senza uscire per la spesa e non vorrei far saltare i programmi per un litro di latte. Che faccio? Mentre ci penso assaggio il ciambellone per vedere come è venuto. È rimasto forse qualche minuto di troppo in forno e la crosta è leggermente più dura del previsto, ma tutto sommato è buono.
Passa dalla cucina la ragazza. Lo assaggia. Gradisce.
Arriva ora di cena e il ciambellone è già a metà.
La cena è minestrone e formaggio… insomma… non proprio esaltante.
Mentre sparecchio il ciambellone mi guarda ancora.
Ma sì, chiudiamo con un dolce. Però ci manca qualcosa… Il ciambellone è buono pucciato nel latte a colazione o, appunto, imbevuto di alchermes nella zuppa inglese. Così, solo soletto è un po’, come dire, gnucco. L’alchermes sul ciamebellone senza la crema pasticcera della zuppa inglese non ha senso.
Poi l’illuminazione del consorte: forse da qualche parte abbiamo dello slivoviz. Lo trovo.
Volevo dirvi che stasera Friuli e Emilia si sono unite a Milano dando vita a qualcosa di inaspettatamente appagante.
Vado a letto felice, o forse sono solo ubriaca.
12 aprile
E anche Pasqua è andata. Pasqua 2020 ce la ricorderemo per sempre.
Ieri abbiamo preparato i cappelletti e oggi li abbiamo cotti. Ma non sono venuti buoni come quelli della mia mamma: la pasta non era abbastanza sottile e forse il ripieno sapeva di poco. Ma il brodo era buono e grasso abbastanza da saziarci.
Abbiamo mangiato sul terrazzino, se così si può chiamare: che privilegio averlo… chi avrebbe mai detto che lo avrei amato così tanto.
Abbiamo inaugurato i pranzi all’aperto ieri: stiamo stretti e un po’ in equilibrio precario ma riusciamo a mangiare e ci da l’impressione di essere da un’altra parte.
Forse richiamato dalle nostre chiacchiere ieri si è affacciato il signore del piano di sopra. È in casa da solo, e da quando un paio di anni fa è mancata sua moglie, si commuove facilmente. Lui, l’iracondo che urla tutta la sua insofferenza verso la famiglia che abita sopra di lui perché a suo dire sposta i mobili senza prestare alcuna attenzione, si è affacciato e ha chiacchierato con noi, ingoiando il magone che ogni tanto prendeva il sopravvento, ma lasciandosi andare in una risata liberatoria quando gli abbiamo detto di non farsi problemi a dirci che non sopporta nemmeno lui il mezzano che suona con l’ukulele sempre la stessa canzone, perché condividiamo e comprendiamo… il mezzano si è offeso, e giustamente direi… stellina: bullizato dai suoi stessi genitori durante una pandemia che lo costringe in quattro mura a combattere noia, rabbia e frustrazione. Ma la risata del vicino è valsa il sacrifico dell’orgoglio del povero sedicenne.
Alla fine della chiacchierata abbiamo dato appuntamento al vicino per oggi, stesso balcone, stesso affaccio.
Tra un cappelletto e l’altro oggi sbirciavamo la ringhiera del piano di sopra, ma non è apparso nessuno per tutta la durata del nostro pranzo. Poi stasera, verso le sette, quando sempre sul terrazzo facevamo una merenda tardiva, siamo stati richiamati da un “Buona Pasqua, come è andato il pranzetto?”.
Ce la siamo chiacchierata e gli abbiamo dato appuntamento per domani. Qui per Pasquetta il consorte vorrebbe tentare una grigliata in balcone. Il vicino ha detto che se vede fumo ci innaffia con la canna dell’acqua.
Operazione riuscita: è tornato di buon umore.
13 aprile
Pasquetta.
Vento e freddino ci hanno impedito il rito del pranzo all’aperto. Ci è mancato e ci siamo innervositi. Il consorte ha grigliato ma abbiamo mangiato in cucina. Non è stata la stessa cosa, anche se le costine erano buone.
Quanto potere ha il sole su di noi… anche chiusi in casa, il sole regala buon umore.
Oggi invece è stato faticoso sopportarsi. Come se il venticello che abbiamo potuto solo vedere dalla finestra avesse comunque avuto il potere di agitarci e di scompigliarci i capelli e i pensieri.
Questa sensazione di impotenza e di inutilità ogni tanto ha il sopravvento e tutto quello che si vorrebbe fare è solo urlare.
Come cambia tutto in 24 ore e come allo stesso tempo non cambia niente.
Bisognerà ritrovare il senso delle cose che abbiamo lasciato. Intanto la vera conquista è non perdere il senso di quelle che abbiamo.
Domani ci aspetta un altro giorno. Domani si ricomincia a lavorare, la scuola arriva mercoledì ma domani ci sono i compiti. Non riesco più a pensare a quello che farò quando potrò uscire. Mi basta pensare a quello che farò domani.
Vorrei avere uno sguardo sereno, un cuore leggero. Vorrei non prendermela per niente, essere come quelle persone che hanno una fede così solida e potente da permettergli di mantenere il sorriso anche nelle difficoltà, quelle persone libere, umili, che non conoscono permalosità, ma che sanno abbracciare con le parole e lo sguardo.
Ho tempo, ci posso lavorare sopra.
Nel frattempo cerchiamo gli occhiali del terzo: metà del tempo di questa quarantena ormai va via così.