Sigla

Il mio film inizia così.

Primissimo piano su un piede e sulla sbucciatura causata evidentemente dai sandali, che sono gettati sul pavimento e si intravedono. Il primissimo piano si sposta sul viso e indugia su alcuni dettagli: le rughe d’espressione, i pori dilatati, le sopracciglia non fatte a regola d’arte, un occhio chiaramente non truccato, le labbra sottili che si morde.

Ha un orecchino nella parte alta dell’orecchio: non è un vero piercing, e infatti lei se lo toglie con gesto stizzito.

Si alza. L’inquadratura è sempre un primissimo piano sul piede sanguinante che cammina sul parquet. Entrata in bagno. Il dettaglio inquadrato ora sono le mani che aprono una scatola sotto il lavandino: ci sono dentro medicinali alla rinfusa. Le mani cercano creando ulteriore disordine nella scatola. Si soffermano su una scatoletta: è un prodotto per le verruche scaduto nel 2012. Lo guarda, ci pensa un attimo e lo rimette nella scatola. Il primissimo piano delle mani mostra due braccialetti etnici (che nascondono solo in parte una ciste tendinea sul polso) e due anelli nell’anulare sinistra: un anello chiaramente antico, di quelli tipici ereditati dalle nonne, e una fedina blu con brillantino.

Finalmente li trova. I cerotti. Si siede sul water, ne scarta uno e se lo mette a coprire la lesione sul retro del tallone.

“Fanculo”

Si alza. Si guarda allo specchio.

Adesso l’inquadratura mostra tutto il viso in primo piano: cinquantenne, non bellissima, non truccata, con un disperato bisogno di un parrucchiere. Lei si osserva con aria sconsolata. Si fa delle facce. Sorride. Aggrotta la fronte. Si osserva i denti.

“Fanculo”

Adesso sul sottofondo si sentono delle grida provenienti da qualche parte nel condominio: sembrano ragazzi che giocano ai videogiochi o che guardano una partita. Lei chiude gli occhi e conta fino a tre. Al tre si sente un’atra voce, questa volta una voce maschile, di anziano, che urla “Aalloraaaa! Baaaasta! Maleducati”. Lei, contemporaneamente, a occhi chiusi, pronuncia le stesse parole facendone il playback.

Riapre gli occhi, si riguarda allo specchio con aria sconsolata.

“Fanculo”

Sul sottofondo continuano gli schiamazzi e le urla del vicino, ma vanno dissolvendosi lentamente. Lei torna nella sua stanza. Ci sono i sandali gettati sul pavimento, sul letto ci sono dei libri, una borsa e dei plichi di fogli: sembrano bozze. Si siede a una scrivania verde, davanti ha un computer Mac: il video è grande e si intravedono pagine di lavoro. Sembrano libri di scuola, testi per ragazzi e bambini.

La stanza ha le tapparelle abbassate, è chiaramente estate e fa caldo.

Scrive per qualche secondo, poi cancella.

Poi riscrive. Poi si prende la testa tra le mani e, in preda a un attacco di nervoso, emette un verso.

“Fanculo”

Si alza. Va in cucina, apre il frigorifero. È praticamente vuoto. L’inquadratura si sofferma su dei budini al cioccolato. Lei li osserva, ci pensa… ma poi prende un contenitore di vetro con dentro un liquido giallo. Lei lo guarda con disappunto, come se fosse uno di quei contenitore per l’esame delle urine. Trova un bicchiere sul lavandino, se ne versa un po’: “se ha il colore della piscia farà pisciare?”.

Torna in bagno. Si siede sul water, stavolta per fare pipì. Mentre è seduta, tira fuori la bilancia che è difronte a lei. Si alza, si sistema, tira l’acqua, si pesa.

75 chili.

“Fanculo”

Torna alla scrivania. Riprende a scrivere qualcosa. Cancella. Riscrive. Copia. Incolla.
Primissimo piano sulla tastiera Mac: è un continuo di melaX, melaV, melaZ…

Altra crisi di nervoso.

“Fanculo”.

Primo piano sulla barra dei programmi alpiede dello schermo del computer. Il cursore si muove avanti e indietro e alla fine clicca su Safari.

Si apre la schermata e lei va su Facebook. Scorre qualche notizia, si sofferma su qualche foto. Legge qualcosa annoiata, poi chiude.

“Fanculo”

Riclicca sulla barra in alto di Safari e appare la tendina con i siti maggiormente frequentati.

Il primissimo piano si sofferma sull’icona di Netflix. Ci clicca sopra. E appare.

Il film suggerito è “The f**k-it list”.

Sigla.

 

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