La macellaia di libri

Per lavoro mi passano tra le mani tantissimi libri per bambini e ragazzi. Frequento molti blog di recensioni di testi e di librerie specializzate e la rivista Andersen ormai è la mia bibbia. 
Il mio modo di leggere questi testi però è purtroppo condizionato dal fatto che devo estrarre brani che abbiano certe caratteristiche e questo spesso mi priva del sano gusto che c’è nel piacere di leggere, esattamente quello che dovrei far incontrare ai bambini e alla bambine che leggeranno e lavoreranno sui libri di cui mi occupo. Facendo un paragone un po’ splatter, il mio lavoro è simile a quello di un macellaio che fa anche il cuoco: prendo qualcosa di grande, ben strutturato e complesso e lo devo tagliare e cucinare perché i bambini e le bambine possano gustarlo. Cerco sempre il filetto, ma qualche volta mi trovo a dover utilizzare le frattaglie, e così devo compensare con l’arte culinaria. Altre volte il filetto è splendido, ma a malincuore devo rinunciarci perché non mi serve, e allora prendo, che so, la lingua, pur consapevole che non sia la parte migliore, perché non voglio rinunciare del tutto a quello splendido esemplare illudendomi di far comunque assaggiare qualcosa di buonissimo.
Qualche volta la ricerca si fa disperata perché proprio non trovo quello che cerco, così abbandono i siti più rinomati e mi butto nell’archivio della biblioteca comunale digitando parole chiave a caso e passando titoli per lo più a me sconosciuti e certe volte vecchissimi. Ed è a quel punto che faccio delle scoperte inaspettate.  
Stasera mi sono trovata tra le mani un libretto pubblicato in Italia per la prima volta nel 1993. Si intitola Lettere dal mare ed è dell’autore francese Chris Donner. Scopro che in Italia è stato ripubblicato nel 2010 e scopro che è famosissimo. Ed è bellissimo. Un prezioso libricino che acquista ancor maggior valore se si pensa sia stato scritto trenta anni fa (l’edizione francese è del 1991). Come ha fatto a sfuggirmi fino ad adesso?
Sono dieci lettere che un ragazzino scrive al fratello grande dal suo soggiorno al mare dove è con la sua famiglia. Perché il fratello grande non è al mare con loro? Perché la mamma non vuole che venga nemmeno nominato? Che cosa ha fatto di così grave?  Lo si scopre pian piano in queste lettere che descrivono con ironia, leggerezza e delicatezza una vacanza iniziata nel peggiore dei modi, ma che avrà un’evoluzione inaspettata. Vi do un indizio: leggerla oggi, dopo le scene vergognose viste in Senato, è stato curativo. Ma allo stesso deprimente. Perché nel 1991 gran parte di quei senatori avevano tra i venti e trent’anni e mi dispiace che di questa delicatezza, ironia e leggerezza ne siano rimasti sprovvisti. Tutti i bambini e le bambine ce l’hanno se gli si insegna a riconoscerla.
Non voglio spoilerare nulla perché, nel caso vi imbatteste in questo libro, anche voi abbiate il mio stesso piacere nel leggerlo, ma vi anticipo che a un certo punto si parla di un muro, un muro destinato a crollare ma che verrà ricostruito. Di solito i muri hanno un valore simbolico negativo, di divisione. Qui invece rappresenta qualcosa che è sì destinato a crollare –  nonostante i tentativi disperati perché questo non avvenga – ma questo crollo sarà benefico solo perché poi il muro verrà ricostruito solido e destinato a durare nel tempo.
Purtroppo di questo libro non potrò utilizzare il filetto, dovrò accontentarmi della lingua, ma spero di riuscire a impiattarla al meglio nella speranza che qualcuno, incuriosito, si vada poi a cercare questo libro, scoprendo così questa piccola perla di affetto, accoglienza e semplicità di cui forse abbiamo tutti un po’ bisogno. 

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La frustrazione

Sono passati due mesi dal dannato scoglio e uno dall’intervento.

Cammino per casa come una anziana, il ginocchio ha una forma strana, è sempre un po’ dolorante e per ora se esco preferisco portarmi la mia stampella. Lunedì avrò una visita di controllo che mi dirà se questa convalescenza così lenta è normale o no.

Nel frattempo la vita è ripresa anche se la mia assomiglia molto a quella che avevo durante il lockdown, ovvero lavoro e mangio e dormo.

Sono ingrassata di un paio di chili, sono un po’ depressa ma soprattutto molto frustrata.

Dipendo dalla famiglia per un sacco di cose, soprattutto per andare e venire dalla biblioteca, per me strumento fondamentale per poter lavorare. 

Settimana scorsa mi ha salvata una amica, che mi ha accompagnata e ci siamo fatte quattro chiacchiere. Ma di solito mi ritrovo a supplicare qualche famigliare ad andare a prendere e a restituire i libri.

La mia famiglia ha un non so che di sadico che consiste nella parola “dopo”. Non mi dicono mai di no, ma mi rispondono sempre “va bene, ma dopo”, oppure “va bene, ci vado domani”, “va bene, ma adesso devo studiare”.

E così io mi ritrovo a rinnovare on line prestiti ormai scaduti, segnarmi su foglietti i libri che vorrei prendere, perché se ne possono prenotare solo cinque e se non li ritiri quelli rimangono lì, impedendoti di prenotarne altri.

Quando la frustrazione raggiunge le stelle mi metto a supplicare, offro mance. Ma niente. È sempre “dopo”, “quando torno”, “domani”. Se insisto troppo o mi si altera la voce, mi urlano “ti ho detto che ci vado, ma non adesso”.

Ecco. Io rivoglio solo la mia vita, rivoglio semplicemente ricominciare a guidare e andare in biblioteca quando cazzo voglio e quando cazzo ne ho bisogno.

Poi però il mio pensiero va a chi sta veramente male, a chi basterebbe alzarsi dal letto, a chi veramente dipende in tutto e per tutto da qualcun altro. E non riesco a immaginarmi la frustrazione. E ridimensiono la mia. 

Per cui adesso mi metto il cuore in pace, respiro lentamente, riprendo la calma. Uno qui in casa ha detto che ci va. Adesso però deve andare in bagno. Sono quasi le quattro. La biblioteca chiude alle sei.

Fingers crossed.

(Spero non legga questo mentre è sul water, altrimenti si offende e mi dice che non ci va più)