Le paste dure

Supermercato del Monferrato. Entro indossando la mascherina perché a Milano la metto sempre al supermercato e comunque la maggioranza delle persone lì la indossa ancora. Comincio a fare la spesa e mi rendo conto che sono l’unica ad averla. Mi sento un po’ a disagio, ma toglierla adesso mi farebbe sentire ancora più in imbarazzo. Vado al banco del pane. Vorrei prendere il pane che trovo solo qui e che c’era anche al mio matrimonio ma non so come chiamarlo. Per me è il pane a forma fallica, ma fa brutto definirlo così alla commessa. Arriva il mio turno e presa alla sprovvista chiedo il pane a “forma di lumaca”. Spiego che non sono di qui e non so come di chiama. La commessa ride, la signora accanto a me subito ride, poi ci pensa un attimo e con nonchalance indossa la sua mascheriana che aveva in borsa. Il tempo di prendere il mio pane insacchettato e prezzato, mi giro e tutti intorno a me indossano la mascherina.

Il mio marcato accento milanese e il mio dichiarato essere forestiera devono aver seminato il panico… oltre a non sapere che il pane che volevo non erano altro che semplici paste dure e non cazzoni lievitati…

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La villetta

Oggi siamo stati in Brianza a fare un giro con il cane. Lo scopo era trovare una pensione dove lasciarlo qualche giorno quest’estate, ma ovviamente non l’abbiamo trovata. Però ci siamo fatti una bella passeggiata tra boschi e campi coltivati, costeggiando ville e villette, alcune bellissime, altre discutibili.

A un certo punto in lontananza abbiamo visto alcune villette a schiera. Erano al limitare del paesello e si affacciavano sui campi. Davanti a una di queste c’era una piscina e si intravedevano delle persone che probabilmente stavano facendo il bagno e prendevano il sole.

Il primo pensiero è stato “beati loro”, poi però mi si è affacciata improvvisa nella mente una visione, come se quella scena fosse un dejavu. È stata una sensazione sgradevole. Ho impiegato qualche minuto per ricostruire e farmi venire in mente che cosa quella villetta mi ricordasse. E poi eccola: mi ricordava una scena del film “Favolacce”. Io non se voi l’avete mai visto… Io ho avuto la malaugurata idea di vederlo durante il lockdown, facendomi ingannare dal fatto che avesse vinto alcuni premi.

Se cercate su Wikipedia la trama, capite di cosa sto parlando, perché praticamente spoilera tutto.

Io però nel 2020 non avevo idea di cosa stavo andando a vedere, convinta che se c’era Elio Germano allora doveva essere un bel film, e sono rimasta per tutta la durata del film a bocca aperta. Quel film mi regalò angoscia in un periodo dove già l’angoscia era oltre i miei limiti di sopportazione.

Il film è ambientato alla periferia di Roma, ma per certi aspetti l’ambiente sociale descritto ricorda moltissimo la Brianza o almeno lo stereotipo che di solito se ne ha.

E oggi, tra campi verdi e villette a schiera, è bastata una piscinetta in lontananza a risvegliare una sensazione di angoscia di cui non sentivo la mancanza…

Accidenti a Elio Germano e ai fratelli d’Innocenzo che ne hanno fatto la regia.

Ricordo che quando finii di vederlo, subito dopo aver pensato “ma perché?” e “ragazzi, anche meno…”, feci un giuramento: mai più vedere un film che vince un qualsiasi premio al festival di Berlino.

Fine anno

Cara/o prof, è un po’ che non ci sentiamo.

Lo so, le lettere dai genitori sono una gran rottura di coglioni ma io stasera non riesco a dormire perché la mia amica ansia è tornata a trovarmi e così ho pensato bene di scriverti.

Vorrei svelarti alcuni segreti che segreti non dovrebbero essere ma ogni tanto mi chiedo se tu li conosca. Eccoli.

1. Insegnare, per chi lo sa fare bene, è difficilissimo. Il problema è che si può anche insegnare male credendo di farlo benissimo. Come capire se sei un bravo insegnante? Dalle insufficienze. Se i tuoi studenti e studentesse sono insufficienti significa che non sai insegnare. E poco importa se li trovi svogliati, annoiati, disinteressati… se non sei capace di trovare la chiave per accendere in loro la curiosità e la voglia di scoprire, non sei un bravo insegnante. Se non capiscono niente, non sei un bravo insegnante. Se solo alcuni ti seguono e sono bravi, non sei un bravo insegnante perché il merito non è tuo: sono bravi di loro.

2. Essere bravi a scuola non significa essere delle belle persone. La scuola dovrebbe essere il primo luogo dove si impara a vivere in una società dove ognuno è responsabile di se e di chi gli sta vicino. Alimentare l’individualismo, giustificando e premiando sempre chi ottiene buoni voti ma poi è incapace di empatia, solidarietà, collaborazione non è insegnare, ma cercare autogratificazione.

3. Se sei un prof delle medie hai una responsabilità enorme perché hai a che fare con tutti soggetti borderline: entrano bambini e possono uscire delinquenti o persone aperte al proprio futuro. Che cosa ne determina la differenza? Un professore o una professoressa che sappia riconoscere le potenzialità di ognuno, le incoraggi e faccia acquisire autostima e voglia di sognare, dando fiducia e indicando traguardi ambiziosi. Che sappia insegnare la bellezza della fatica e dell’impegno per ottenere un risultato. È semplice? No.

4. Un bravo insegnante si riconosce dalla sua capacità di chiedersi “perché”. Perché uno studente si comporta in un certo modo? Perché non studia? Perché disturba? Ti faccio una rivelazione: non sempre è colpa della famiglia. Qualche volta il problema sei proprio tu. Quindi un bravo insegnante si pone dei perché e ha il coraggio di darsi risposte sincere.

5. Insegnare ai bravi sono capaci tutti, anche quelli che insegnano male.

6. Le parole di un/a prof hanno un peso enorme sui ragazzini, forse di più di quelle dei genitori. Pensa bene a quello che dici e come lo dici, soprattutto se è un giudizio. Se dici a un ragazzo/a che non vale niente, che nella vita non concluderà niente, lui/lei ci crederà. Se gli dici che può farcela e che può ottenere risultati anche ambiziosi, ci crederà. Se poi gli dici che gli starai accanto e che lo sosterrai, allora ce la farà.

7. Se chiedi ai ragazzi di prendersi le loro responsabilità, fallo anche tu.

Ecco. Tutto qui.

In questi anni passati alle medie come madre (che grazie a Dio volgono al termine), ho assistito a di tutto e di più, grazie a tre figli ognuno profondamente diverso dall’altro e ho avuto a che fare con un numero consistente di prof. Ho visto cambiare atteggiamento in base a stereotipi e idee preconcette. Ho visto capitale umano sprecato, occasioni sprecate, ingiustizie… ma anche lavori bellissimi, gesti delicati e discreti, attenzioni insperate. Confesso che la mia stima nei confronti dei prof è stata spesso messa a dura prova, ma riconosco che è un mestiere complesso e difficile. E che ognuno ha la propria storia.

Caro/a prof, ti auguro buon lavoro per i prossimi anni, riposati quest’estate e ti auguro a settembre di entrare in classe e guardare quelle facce sedute ai banchi con affetto incondizionato e non con incondizionata rassegnazione.