I vecchi libri di scuola

Ho una passione per i vecchi libri di scuola. Ogni tanto me ne capita in mano qualcuno e mi piace da pazzi avventurarmi in linguaggi, immagini e concetti ormai appartenenti al passato. Perché danno una visione abbastanza impietosa del modo di pensare e di educare i bambini e le bambine di allora. Un “allora” che forse ogni tanto qualcuno vorrebbe far tornare.

Oggi mi sono imbattuta in un libro di letture del 1967 che mi è stato regalato da una amica che sta svuotando la casa della sua mamma e ho trovato questo.

Questa fiaba, spesso conosciuta come Riccioli d’oro, a me è sempre piaciuta, perché la protagonista è una bambina monella, sfacciata e comunque libera. Nella storia la bambina viene sempre presentata come disobbediente, stupidina, maleducata, eppure io invidiavo la sua sfrontatezza e il suo coraggio di entrare in una casa sconosciuta e sentirsi perfettamente a suo agio. Così, oggi, sfogliando il libro, quando me la ritrovo qui, modificata e semplificata (è un libro per la seconda elementare) sono un po’ sorpresa, perché alla fin fine il messaggio è: anche le bambine possono essere disobbedienti, possono andare sole nel bosco, possono essere libere. Penso: il libro è del 67, si stava preparando il 68, la visione della “femmina” cominciava a cambiare…

… poi leggo l’operativa in fondo… e intravedo un tentativo degli autori di ridimensionare tutta ‘sta libertà. Leggo e rileggo e mi chiedo: ma perché cavolo nel 1967 le femmine dovevano preferire i ciclamini alle nocciole e ai mirtilli? Però quei tre puntini sospensione mi fanno immaginare maestre illuminate che chiedevano: “ma bambine, è veramente così?”

Sono li che ci ragiono e continuo a sfogliare, quando giro pagina e li trovo! gli immancabili testi sulla mamma e sul papà e tutto torna. Fantastici.

Ogni tanto testi come questi si insinuano ancora nei libri di scuola anche se meno sfacciati, più sottili, così subdoli da sfuggire all’occhio dei redattori. Ma il concetto rimane lo stesso, perché è un concetto che ancora piace molto, al punto da farlo spesso diventare un valore: si comincia dai ciclamini e si arriva a farci credere che pulire la casa e immolarsi per la famiglia sia il massimo della realizzazione e della gioia per una donna e che se sei un uomo il tuo unico scopo nella vita deve essere procacciare cibo per i tuoi figli, e che quella sarà la tua più grande dimostrazione d’amore nei loro confronti.

Ecco, io ogni tanto mi rileggo questi testi, per godere della strada fatta in questi quasi 60 anni, ma anche per prendere consapevolezza di quanta strada ancora è da fare.

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BeReal

Primo test: se già dal titolo del post sapete di cosa sto andando a parlare significa che siete sul pezzo o che avete figli tra i 13 e i 22 anni.

BeReal è una app che ogni giorno a un’ora a caso vi invia un messaggio. Appena lo ricevete dovete scattare una foto a quello che avete davanti a voi e in contemporanea il telefono vi scatta un selfie. Le due fotine vengono quindi condivise con la vostra rete di contatti che hanno BeReal e che avete ammesso nel vostro cerchio magico.

Si chiama BeReal perché se la foto viene male e la rifate, i vostri “amici” possono vedere quante volte l’avete rifatta. E, insomma… se la rifate più di due o tre volte fate la figura del BeFake…

Quindi…

Alla fine di quest’estate scopro che i miei figli ce l’hanno, il consorte si esalta e se la scarica, ma subito si rende conto che nessuno dei suoi contatti ha questa nuovissima app. Così passa qualche settimana condividendo con se stesso i suoi BeReal, cercando di pubblicizzarlo con chiunque ma raccogliendo praticamente nessun consenso. Diciamo che sopra i 25 si fa fatica a capirne il senso.

Poi, finalmente, a settembre io cambio il mio vecchissimo smartphone che mi impediva di scaricare qualsiasi cosa e come prima cosa mi scarico Be Real. Faccio le stesse constatazioni del consorte e per un po’ condividiamo solo tra noi due i nostri momenti giornalieri. 

Poi succede che il mio telefono capiti in mano ai tre giovinastri di casa, che scoprano i selfie imbarazzanti delle loro figure genitoriali e che le trovino molto, ma molto “divertenti”, come solo le cose molto, ma molto imbarazzanti possono essere. Quando smettono di ridere, decidono che sì, dare a noi due il loro contatto di BeReal può essere divertente.

E a me si apre un mondo.

Cioè, noi anziane madri con figli ormai liberi per il mondo, passiamo le giornate a immaginarci i nostri pargoli a scuola, in università, fuori con gli amici. Li immaginiamo con gli stereotipi che abbiamo nel nostro cervello, aggiungiamo particolari in base ai piccoli dettagli che cogliamo da conversazioni serali spesso stanche e svogliate, ma raramente riusciamo a immaginarli nel posto esatto in cui sono. Un po’ perché non ci siamo mai stati un po’ perché spesso non abbiamo idea di dove e con chi siano i nostri figli. 

E poi, tutto d’un tratto eccoli lì. BeReal. Le loro facce in aule universitarie, lo spogliatoio della palestra, il compagno di classe inquadrato di sbieco, lo spritz in piazza Leo, la biciletta guidata senza mani ed evidentemente con un cellulare in mano…

Queste piccole finestre sulle loro vite, ormai così tanto loro e così poco mie, sono un piccolo regalo che mi fa sorridere ogni giorno (o arrabbiare: il cellulare in bici senza mani, vi prego, anche no…). Adesso li posso immaginare nel posto giusto, so come sono le loro aule, do un volto a nomi di amici e compagni di corso/classe mai visti, li vedo sorridenti che si godono la loro vita. E questo mi piace un sacco.

Per quanto riguarda me, i miei selfie ogni giorno mi ricordano quanti anni ho e che ho un disperato bisogno di un parrucchiere…