Insonnia

È una cosa orrenda. Te stai lì, al buio e vorresti con tutte le tue forze dormire ma non ce la fai. Ti alzeresti a stirare, lavorare, ma non puoi perché sveglieresti quelli che invece riescono a dormire benissimo.

Il cervello si affolla di pensieri, il cuore comincia ad accellerare e tu vorresti rallentarlo, svuotare la mente ma non ci riesci. Vorresti che il materasso ti inghiottisse, che qualcuno apparisse e ti dicesse “tranquilla, domani si sistema tutto”. Cerchi di attuare quel poco che hai imparato nei pochi mesi di yoga che hai fatto, provi a recitare un rosario, supplicando che qualcuno si prenda questa ansia e se la porti via.

Unico sollievo: scrivere. Ma non puoi scrivere tutto quello che vorresti perché questo blog è pubblico, e come mi hanno fatto notare di recente, io scrivo già fin troppo di me. Mi hanno chiesto “ma non ti mette a disagio far sapere a tutti i fatti tuoi?”. Onestamente? No. Anzi. Mi libera. Però so pormi dei limiti: fin che si parla di me ok, ma se per parlare di me devo parlare di cose di altri, allora mi censuro. E così non posso scrivere tutto tutto quello che vorrei.

So che parlare di ansia è monotono e noioso, eppure questa stramaledetta ha la capacità di prendersi il cervello e focalizzarlo su qualcosa ingigantendo i problemi, rendendoli enormi, insormontabili.

Una volta è il lavoro, una volta i familiari, poi la salute, oppure i guasti in casa o i vicini. Non importa cosa sia: sebbene razionalmente io sappia che a tutto c’è soluzione, il mio cuore e il mio cervello continuano a comportarsi come se io fossi sull’orlo di un baratro.

Invidio tantissimo le persone che sanno rimanere leggere, quelle che non se la prendono, quelle dalla fede incrollabile nella provvidenza, quelle risolute e pratiche, quelle sicure di se, quelle che non sopportano gli ansiosi. Quelle che dormono sonni tranquilli.

Sono andata a letto alle 23.15. Sono le 5.33. Sono sveglia dalle 3. Tra un’ora suona la sveglia.

Tra poco è un altro giorno e sono certa che porterà solo belle cose.

Devo solo convincere di questo cuore e cervello.

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Caro Gesùmba

Caro Gesùmba,
quest’anno per Natale anziché portarmi regali, portami via qualcosa.

Portami via la mia ansia che ogni tanto mi stringe lo stomaco e mi annebbia il cervello.

Portami via il male al ginocchio. Ok, quello lo stai già facendo, ma magari potresti farlo un po’ più velocemente.

Portami via il mio parlare qualche volta a sproposito, la mia necessità di dire sempre quello che penso, le mie urlate di nervosismo, la mia poca pazienza.

Portami via i miei momenti no, quelli durante i quali io starei solo a letto convita che il mondo intero ce l’abbia con me.

Portami via la mia pigrizia, la mia indolenza, il mio rimandare.

Portami via la sensazione di non essere mai altezza, di non essere capace di fare il mio lavoro.

Portami via il senso di colpa per non fare abbastanza per la mia famiglia, per la mia casa, per gli amici, per le persone a cui voglio bene, per quelle che potrebbero aver bisogno di me e che ogni tanto faccio finta di non vedere.

Lasciami un po’ più spensierata, un po’ più di buon umore, sorridente, un po’ più leggera.

Ecco… già che ci sei… portati via anche dieci chili che potrebbe aiutare.

Grazie!
Con affetto.

Anna

Vorrei solo uscire a comprarmi un gelato

Volete la verità? Eccola: io non ne posso più!

I ragazzi, gli anziani, i bambini… Ecco, io oggi penso solo a me e non ne posso più.

Ho la claustrofobia, l’ansia e la depressione.

Sono preoccupata per il mio lavoro, che già negli ultimi anni stava andando un po’ a schifio ma con questo credo che avrò la botta finale.

Quest’estate compio cinquant’anni e già di per se non è esaltante, ma adesso è proprio devastante.

Mi dicono che i ragazzi soffrono, che gli anziani soffrono, che i bambini soffrono. Sappiatelo: anche le quasi cinquantenni soffrono. Soprattutto quelle con un senso del dovere eccessivo come me. Mi hanno detto stai a casa? Ecco, io ci sto veramente. Non riesco a trasgredire, è più forte di me. Non ho nessuna scusa per uscire. Ormai anche la mia mamma si arrangia, perché mi hanno fatto terrore con le possibili multe. Ma fare la spesa e portare le medicine alla propria mamma è un buon motivo per uscire? Non si sa. Da quello che ho capito sta nel buon cuore del vigile o del carabiniere che ti ferma. E io con il buoncuore di vigili e carabinieri sono sempre stata un po’ sfortunata e visto che non posso permettermi 500 euro di multa e che per andare da lei la possibilità di un posto di blocco è alta, le ho detto “fai la spesa online e chiama i ragazzi volontari del quartiere per le medicine”. Ogni spesa on line per lei è un’arrampicata sull’Everest, ma ce l’ha fatta già due volte. Insomma, si arrangia.

Io no.

È che mi sento inutile.

Volete la verità: io avevo due lussi nella mia vita, due soli cazzuti lussi. Il primo non lo dico perché è un segreto e questo un luogo pubblico, ma tanto ormai è un antico ricordo. Il secondo lusso era una signora che mi puliva casa in teoria due volte a settimana, in pratica quando e quanto voleva lei. Ma il lusso consisteva proprio in questo: non me ne fregava niente di quando e quanto venisse, mi bastava che ci fosse. Lei era l’unica che si prendeva cura di me pulendo i bagni al posto mio, passando l’aspirapolvere al posto mio e rendendo la mia casa almeno vivibile. Era l’unica che non mi chiedeva che cosa dovesse fare, ma lo faceva e basta. Il lusso era pagarla a fine mese senza verificare quante ore avesse fatto realmente, ma avendo l’illusione che lei avesse tutta la situazione sotto controllo. Lei mi diceva quando finivano i detersivi, quando cambiare le lenzuola, ma soprattutto, mi regalava una casa in ordine per un’ora due volte alla settimana. Poi tornavano a casa tutti e la magia svaniva. Ma io l’avevo vista, la magia.

Ecco, adesso siamo sempre a casa tutti e lei non c’è. La magia adesso dura solo qualche secondo e tocca farla a me o infilarmi in discussioni per ottenere il minimo sindacale o, nel migliore dei casi, mettermi i panni del generale e dare ordini e compiti. Vi dico un altro segreto: io odio avere la situazione sotto controllo, odio dare ordini. Io credo nel buoncuore della gente, nella loro capacità di comprendere autonomamente quello che c’è bisogno di fare e che lo facciano.

Capite bene che per una persona come me questo è proprio un periodaccio…

Io invidio le donne e gli uomini di carattere, quelle e quelli che in questi giorni hanno svuotato e pulito armadi, tapparelle, anfratti e fughe delle piastrelle. Io mi sento eroica solo per aver lavato le tende e i vetri e aver svuotato totalmente la cesta delle cose da stirare… Io invidio quelle e quelli che fanno ginnastica, che cuciono mascherine, che hanno suddiviso i compiti casalinghi tra figli e consorte, che hanno trovato fornitori di frutta, carne, pasta a chilometro zero e che fanno ordini online come se non ci fosse un domani sostenendo le piccole imprese e allo stesso tempo mangiando sano e biologico. Quelle e quelli che sanno la differenza tra cavolo nero, cavolo cappuccio e cavolo rosso. E che li sanno cucinare. Quelle e quelli che sono riusciti a farsi la pasta madre in casa. Quelle che si truccano e che si mettono il reggiseno tutti i giorni.

Io invidio proprio tutti: quelle e quelli che lavorano fuori casa, perché eroicamente fanno la loro parte. Quelle e quelli che stanno salvando il mondo, quelli che stanno sperimentando nuove strade. Quelle e quelli che lavorano da casa, ma che hanno conferenze, call e le giornate piene e che vivono questa nuova dimensione smartworking come atto eroico. Ieri ho invidiato perfino il tizio che mi ha portato la spesa a casa.

Io continuo a fare quello che ho sempre fatto: lavoro da casa, non c’è niente di nuovo per me, niente di eroico. Quello che prima mi sembrava un privilegio, adesso non lo è più. Il mio privilegio era la mia libertà, che pagavo con il prezzo dell’incertezza della precarietà.

Ora mi è rimasta solo l’incertezza e la precarietà. E i cinquant’anni che incombono.

Però al momento stiamo tutti bene. E lo so che di questi tempi a Milano questo è già tanto. Dovrei essere grata. E invece mi sento dietro una grata.

Vorrei solo uscire a comprarmi un gelato.

 

Parleremo di altro

Quante calorie si usano per passare l’aspirapolvere?

Quante per cambiare le lenzuola?

Quanto autocontrollo per non prendere a schiaffi il figlio che ti urla “ti odio”?

Quanti bicchieri vengono usati in un giorno? Mi farà male bere ogni sera un bicchierino di Calvados? Meglio il lexotan?

Ogni quanto devo cambiare gli asciugamani?

Quanti giorni può durare la carne in frigorifero?

Come posso cucinare dei peperoni che stanno andando? E le carote mollicce?

Il vicino sta urlando contro di noi o contro quelli sopra di lui? Dovrei portargli una fetta di torta? Può essere pericoloso per lui? E se io sono infetta? Due mesi fa non sono stata bene: era covid? avrò sviluppato gli anticorpi?

Per portare giù la pattumiera devo mettermi la mascherina anche se non prendo l’ascensore?

Ho starnutito, devo provarmi la febbre?

Il tizio del palazzo di fronte che ha appena urlato “basta”, sta per ammazzare il figlio che continua a piangere? Devo preoccuparmi?

Perché in Lombardia va tutto a schifìo? Perché i cattivi sono orgogliosi di essere cattivi anche in questo momento? Quando finirà tutto questo?

Quando potrò tornare in montagna?

Chissà come sta Tizio? Chissà come sta Caio?

Perché non mi sento più buona e molta gente mi sta proprio sul caxxo? Perché mi arrabbio per niente? Perché alcune conversazioni su Whatsapp mi irritano? Perché sono così una brutta persona? Perché quello che vorrei fare adesso è poter mandare a quel paese un sacco di gente, anziché sentirmi solidale in questo momento difficile?

Veramente in questi giorni sto capendo chi mi vuole bene veramente e chi no? Veramente le sto conoscendo meglio, scoprendo lati bellissimi oppure si stanno dimostrando delusioni pazzesche e brucianti? Quante persone io stessa sto dimenticando che magari stanno pensando lo stesso di me?

Perché i consigli su come vivere bene in casa, su come trattare gli adolescenti in questo periodo, su come affrontare serenamente questi giorni hanno su di me un effetto che varia dalla rabbia alla depressione?

Oggi sono passate meno ambulanze di ieri?

Quale film potrei vedere stasera? Che cosa cucino a pranzo?

Quando potremo ricominciare a viaggiare? O perlomeno uscire…

Come faccio a consolare i miei figli?

Arriverà un vaccino? E l’alcool al supermercato? Quanto durerà la spesa che abbiamo fatto?

Ma come fanno gli altri ad avere una routine, a fare ginnastica, a tenere tutto pulito? Ma come riescono a studiare i ragazzi? E i miei amici medici, infermieri, magazzinieri, commessi, come fanno a gestire casa, figli e distanza di sicurezza?

E quelli che vivono in cinque in due o tre locali? E quelli che vivono soli? ok, lo ammetto, io quelli che vivono soli certi giorni li invidio un sacco…

E quelli che non si sopportano?

Riusciremo prima o poi a parlare di altro?

Perché non riesco a scrivere qualcosa di divertente, o perlomeno di intelligente?

E se finisco l’inchiostro della penna rossa, come faccio a lavorare?

La Quaresima finisce sempre a Pasqua, vero?

 

 

 

Tetris

E rieccoci. Puntuale è tornata. L’ansia. È qui con me e visto che non se ne vuole andare e io di conseguenza non riesco a dormire, ve la descriverò.

L’ansia si posiziona generalmente tra l’ombelico e lo sterno. Sta lì, preme un po’ sullo stomaco, un po’ sull’intestino, un po’ sul cuore e un po’ sui polmoni. È direttamente collegata al cervello che a seconda dei pensieri che fa, invia delle scariche elettriche e lei, l’ansia, come reazione, sobbalza colpendo come una pallina del flipper prima il cuore, poi lo stomaco, poi i polmoni per ricadere infine sull’intestino.

Il risultato è il cuore che va a mille, il respiro che si affanna, lo stomaco si contrae e infine senti una fitta al basso ventre.

Di solito l’ansia arriva quando devo prendere delle decisioni, quando mi sento vittima inerme di un’ingiustizia, quando comincio a fare il punto della situazione del lavoro, quando non sto bene.

I pensieri che possono scatenare tutto questo sono i più disparati: le date di consegna dei lavoro, la scuola dei ragazzi, qualche cosa che si è rotto in casa e che necessita un tecnico, le urla della vicina, qualcosa che ho detto o che ho fatto che sarebbe stato meglio di no, quand’è che ho fatto l’ultima volta gli esami del sangue?

Quando parte l’ansia ormai la riconosco, e mi viene il nervoso perché so che è del tutto inutile di notte, perché tanto non posso farci niente, perché so che domani mattina rivedrò tutto dalla giusta distanza.

E così comincio a cercare di controllare il respiro, penso a cosa succederebbe se dovesse andare tutto nel peggiore dei modi, se le conseguenze sarebbero sopportabili. La risposta è sorprendentemente sempre “sì”. Sopravviverò!

Me lo ripeto come un mantra.

Poi vado a fare la pipì, prendo il telefono e gioco a tetris. Fisso le forme che si incastrano perfettamente e il cervello si spegne. Altro che ansiolitici.

Andrà tutto per il verso giusto è tutto si incastrerà alla perfezione.

Tra l’ansia e la Grecia

Per le persone ansiose le vacanze non sono mai sinonimo di “riposo”. La persona ansiosa la riconosci perché è quella il cui più grande desiderio prima di partire, è quello di tornare. Le persone ansiose, mentre aspettano di salire su un traghetto, guardano con invidia quelle che scendono già abbronzate, rilassate, con quell’andatura “take it easy” e in cuor loro dicono una piccola preghiera affinché la nave non affondi, non gli venga rubato nulla, non perdano nulla, nessuno si faccia male, non succeda nulla alla casa rimasta al caldo, che i posti prenotati siano effettivamente prenotati, che siano decenti… insomma, qualsiasi cosa affinché tra una decina di giorni anche loro possano scendere da questa benedetta nave abbronzati, rilassati, “take it easy”.

Le persone ansiose mentre aspettano di salire sulla nave pensano se hanno chiuso la casa, se hanno chiuso bene i rubinetti. Che forse era meglio chiuderla proprio l’acqua, ma forse no visto che la signora andrà a pulire e forse era più rischioso lasciare a lei il compito di aprire e chiudere. Il ferro l’ho staccato, ne sono certa. Chissà se ho preso tutte le bozze che mi servono per lavorare. Va be, senza computer combino poco… quando torno dovrò correre… avrò messo tutto nella valigia? Sicuramente qualcosa lo avrò dimenticato. Ma perché accetto sempre queste vacanze itineranti? Ma non si può andare in un solo posto, magari con cena, pranzo e colazione incluso, di quelli che ti recuperano all’aeroporto con il cartello e poi puoi buttare il cervello nel primo cestino? Perché mi ostino a far credere che anche secondo me le vacanze un po’ randagie sono le più belle. Forse in effetti era meglio andare in aereo. Ma forse no: almeno ho potuto portare più roba. Oddio forse ho dimenticato qualcosa, ma non mi viene in mente cosa…Insomma, Io sono una persona ansiosa!

Quest’anno pensavo di stare meglio, mi sembrava di aver scampato l’ansia da partenza, mi sentivo così tranquilla, serena. Andiamo in Grecia. Cazzarola vanno tutti in Grecia, posso farcela anche io… è vero, ci vado con trent’anni di ritardo perché in Grecia si va a 18 anni con gli amici, ma pazienza. E poi se ci vanno i diciottenni, posso farcela anche io. Dai, l’anno scorso ho sbarellato prima di partire, ma andavo in Africa! Quest’anno ero rilassata, lo giuro. Anche se l’anno scorso mentre eravamo via la casa ci si è allagata. Nonostante il parquettista si sia palesato dopo un anno (si, perché noi ansiosi tendiamo a rimandare quello che ci mette ansia), esattamente quattro giorni prima della partenza e che dopo aver sollevato il pavimento di mezza camera, abbia sentenziato “ancora umido, torno a settembre”. È così le valige sono state fatte facendo lo slalom tra i mobili della camera spostati in sala, saltando i punti dove il pavimento è stato tolto, circumnavigando il tavolo del soggiorno diventato momentaneamente il mio tavolo di lavoro con bozze ovunque. Ero rilassata nonostante la settimana più calda nella storia di Milano. Nonostante tre figli in casa accaldati che pur di aver un po’ di fresco del condizionatore stanziavano in soggiorno, tra i mobili della camera ammassati, le mie bozze e me che cerco di lavorare per consegnare le ultime cose prima della partenza. Credevo di essere tranquilla, finché decido che se voglio raggiungere il bagno senza rompermi una gamba qualcosa deve andare in cantina. E così organizzo una spedizione con figli maschi appresso. Già sul pianerottolo la mia sanità mentale vacilla: lo sbalzo di temperatura manda in pappa il cervello dei minori e già entrare nell’ascensore in tre con due scatoloni pesanti diventa un’impresa. Anche perché la giovane prole sentenzia che gli scatoloni sono troppo pesanti e che quindi devo portarmeli io. Ho troppo caldo per chiedermi a questo punto perché me li sto portando dietro ma in qualche modo raggiungiamo la cantina. Ormai sudata e innervosita, capisco che sto per cedere quando percepisco che la mia voce sta diventando sempre più stridula. Ma è lo sforzo per mettere uno scatolone ultrapesante nello scaffale più alto a sentenziare il tracollo. Perché nello scaffale più basso, quello più comodo per infilare lo scatolone, c’è la canoa, quella gonfiabile, quella che poi avrebbe occupato mezzo bagagliaio, quella per cui devo pensare bene a cosa portare perché “tutto non ci sta”, quella che io non uso perché non so notare. Ed è quando finalmente riesco a sollevare lo scatolone in alto rendendomi drammaticamente conto che non ci sta, che cedo. E dopo aver insultato i miei figli che assistono alla scena con quello sguardo che solo l’adolescenza e i 40 gradi riescono a creare, me ne esco con un solenne “ma va a fan culo voi, ‘ste ferie e sta canoa di merda”. E mentre mi lascio andare ad altre espressioni colorite, dando libero sfogo a quell’ansia che c’era e che c’è sempre stata, si palesa dal nulla il vicino di casa con il figlio. Tranquilli, rilassati, freschi. Il padre ordina al figlio di andare a prendere l’altra scatola che ho lasciato sulle scale per aiutarmi, il giovane solerte ubbidisce, e la porta giù senza il minimo sforzo e il minimo lamento, mentre i miei di figli rimangono schiacciati nella cantina guardando con indifferenza la scena e continuando a farsi i dispetti. A quel punto il vicino se ne esce con un “allora, quando partite? Dai coraggio, manca poco..” E io capisco che mi sta prendendo per il culo.

Quindi adesso sono qui, davanti a una nave che vorrei non affondasse, sperando che l’appartamento affittato a Atene non sia di proprietà di jack lo squartatore e che l’isola dove andremo non sia il rifugio di hippy nudisti ultimi sostenitori del sesso libero in spiaggia. Poi arriveranno gli amici e il viaggio continuerà con loro, e spero che per allora la Grecia faccia il suo miracolo e si porti via quest’ansia di merda.

Buone vacanze a tutti.

Ps: Dicono di non dire mai su internet quando si è via, per cui adesso ho l’ansia. Volevo quindi avvisare i ladri che a casa mia ci sarà sempre qualcuno ma soprattutto che è pericoloso entrarci, si rischia di farsi del male e comunque non c’è una mazza da rubare…

Saper nuotare

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Era un po’ che era sparita, poi è bastato una piccola perdita d’acqua dalla cassetta del water ed è tornata in tutto il suo splendore: l’ansia. A me arriva sempre così, con la famosa “goccia che fa traboccare il vaso”. Incasso bene le scadenze lavorative, le cresime, le gare sportive, l’organizzazione di feste scolastiche, impegni familiari, ma basta che ci sia un problema che coinvolga un idraulico e lei viene fuori e coinvolge a quel punto tutti gli ambiti della mia vita. Quindi oggi sono in ansia per l’idraulico, il lavoro, la festa della scuola, la cena con parenti, la partita di domenica, la gara di sabato prossimo, i centri estivi, l’organizzazione delle vacanze ecc…

L’ansia è quella cosa che mi toglie il respiro e mi fa accelerare il battito cardiaco. Provo una sensazione come di affogare, e tutto quello che vorrei è che qualcuno mi lanciasse un salvagente a cui aggrapparmi, o meglio ancora, che mi facesse salire su una barca e mi dicesse “no problem, ci penso io”. Per fortuna spesso questo accade veramente: quando chiamo “aiuto” il più delle volte arriva.

Ma purtroppo io lo so, perché ci sono già passata mille volte, che l’unica soluzione nella maggioranza dei casi è nuotare.

Per stare a galla bisogna essere rilassati, respirare regolarmente, farsi sostenere dall’acqua muovendosi anche piano ma con ritmo assecondando il principio di Archimede. Bisogna fidarsi del fatto che l’acqua ti sostiene, puntare la riva, valutare la distanza e nuotare calibrando le energie, senza fretta, godendosi l’attraversata. Quando vedi la Pellegrini in acqua sembra la cosa più semplice e naturale del mondo.

Il mio problema però è questo: anche se la teoria la conosco benissimo, io non so nuotare…

2:41

Ecco, ci risiamo. Sono qui in ‘sto letto e sono sveglissima. Allungo la mano e afferro il cellulare sul comodino: 2 e 41.

Perché cavolo mi sono svegliata! Stavo facendo un bellissimo sogno. Ero alla presentazione di un libro e stavo chiacchierando amabilmente con Mario Calabresi. La location era un po’ strana, una chiesa. Eravamo in una decina intorno a un tavolo coperto da una tovaglia rossa.

Provo a richiudere gli occhi sforzandomi di riportare la mente al sogno, ma niente da fare. Più passano i minuti più la memoria del sogno svanisce e comincio a non ricordare più quale libro si stesse presentando, chi c’era intorno al tavolo, di cosa stavamo parlando.

Accidenti… sono sveglissima! E adesso che faccio?

Potrei giochicchiare con l’ipad o riprendere in mano il libro giallo che stavo leggendo ieri sera e che ho lanciato sotto il comodino quando sono crollata.

Scarto entrambe le soluzioni e rimango al buio con i pensieri nel cervello che cominciano a fare festa. Ecco, lo sento, adesso parte quel flusso di coscienza che non sono in grado di gestire. Ed infatti è ciò che avviene puntualmente.

Tutto parte da Mario Calabresi: abbiamo la stessa età, cresciuti nella stessa città, e credo di non avere bisogno di tutti i 6 gradi di separazione per trovare conoscenze che mi portino a lui. Con la differenza che lui è il direttore della Stampa, uno dei pochi quotidiani che è ancora un piacere leggere, ha scritto 3 libri che ovviamente ho letto, è stato corrispondente da New York. Io una redattrice freelance di libri per le elementari. Lui ha avuto una vita particolare, iniziata tutta in salita, ma è riuscito ad andare ovunque con la sua voce pacata e la sua capacità di narrazione, vincendo rancori, rabbia e pregiudizi. Propri e altrui. Io… bè, io… boh… forse sembro più giovane di lui…

Chissà, se avessi fatto anche io la scuola di giornalismo, se fossi stata più ambiziosa, se avessi creduto di più nelle mie capacità.

Ed eccoci, con i pensieri della mezza età… Se, se, se… Ma che palle… È andata così, mi va bene così, perché continuano a tornare ‘sti pensieri del cavolo? Se non ho fatto la scuola di giornalismo è perché non volevo farla: anna cara, ti ci vedi a cercare notizie e scoop? Inoltre sei una donna, avresti dovuto sgomitare di più. E poi, proprio tu, che ti vergogni a chiedere ai negozianti premi per la lotteria della festa della scuola? Suvvia, siamo seri… Cazzarola, la festa della scuola! Devo preparare lo schema riassuntivo di tutto quello che ci siamo detti con i quattro gatti lo scorso incontro! Devo proprio farlo, almeno per quei pochi che hanno ancora voglia un po’ di sbattersi. Scuola… AHHHH!!! Non ho firmato le verifiche del terzogenito, me lo devo assolutamente ricordare domattina altrimenti con la maestra faccio l’ulteriore figura della pessima madre. Ecco, pessima madre dai sogni di gloria, domani si ricomincia a lavorare sul serio: ti prendi i materiali che ti hanno passato e cominci a metterci la testa altrimenti poi ti ritrovi a fare tutto di corsa… Ma avrò fatto bene a dire di sì? Lo so, è l’ennesima sola, ma a questo punto credo di essermi scelta un lavoro che è un po’ tutto una sola… Si guadagna poco, si lavora un casino, ci si fa un sacco di seghe mentali e quando l’ansia aumenta tutti a urlarti dietro. E c’è sempre il refuso bastardo che si intrufola a rimettere in discussione la tua capacità e la tua professionalità. Bè dai, almeno non ti sei mai pentita del telegramma mandato quasi vent’anni fa al provveditorato in cui dichiaravi di rinunciare all’immissione in ruolo come docente nelle scuole primarie dello Stato.

Un tonfo. Qualcuno si è girato nel letto e deve aver preso una testata. Silenzio. Bene, hanno ancora la testa dura.

Dove eravamo rimasti? Ah sì, il lavoro. Ecco, io di rimpianti lavorativi, almeno quelli, non ne ho… finora… vedremo come sarò messa a settant’anni senza una pensione che possa chiamarsi tale… E se mi ammalo? Che mese siamo? Marzo? Devo assolutamente farmi fare le impegnative per mammografia, ecografia, esami del sangue. Avevano detto controllo dopo un anno: signora sa com’è… superati i quaranta… con precedenti in famiglia… magari ci mettiamo anche l’esame delle feci? Per la colonscopia c’è tempo, aspettiamo dopo i 45… Ma mi stava forse prendendo per il “culo”? A luglio sono 45! Mancano solo 4 miseri mesi!

Ed è un attimo. Eccola, sta arrivando: sento il cuore precipitare e poi risalire velocemente battendo all’impazzata. Dallo stomaco sento che sale, sale, sale e finalmente è qui! Benvenuta anche stanotte ansia!

Facciamo così, mi alzo, faccio la pipì, bevo un bicchiere d’acqua e tu vedi di tornare da dove sei venuta, ok?

Ora il cellulare segna le 3.05. Se chiudo gli occhi forte forte magari al posto di Mario Calabresi mi sogno di stare al mare, al caldo, in vacanza. Adesso ci provo…