Quando lo scorso autunno mi è saltato un lavoro che avrei dovuto fare tra marzo e maggio e mi sono resa conto che non avrei avuto niente da fare per qualche mese, ho preso coraggio e ho fatto quello che era un sacco di tempo che avrei voluto fare: iscrivermi a un corso di Letteratura per l’infanzia.
Quando mi sono laureata io, non esistevano corsi che trattavano di letteratura per bambini, o almeno non c’erano nella mia facoltà. All’epoca si discuteva se quella per bambini poteva essere considerata letteratura e credo che i primi corsi in università risalgano ai primi anni duemila, quando ormai io avevo già da tempo discusso la mia tesi in tutt’altro campo.
Dopo aver navigato in internet e aver visto i costi e l’impegno che richiedeva un master, ho optato per iscrivermi al corso singolo presso la facoltà di Scienze della formazione primaria alla Bicocca: Letteratura per l’infanzia, corso del secondo semestre del quarto anno. In fondo io sono una autodidatta e forse un master sarebbe stato troppo per me. E poi mi interessava anche capire che cosa viene insegnato alle future maestre, volevo stare con loro, non con studiosi un po’ asettici. Il corso era nel secondo semestre, un periodo perfetto per me, e il costo del tutto ragionevole.
Così, pronti e via, mi sono iscritta.
Oddio… mica tanto pronti e via, perché per capire come fare, come accedere al sito, come inviare la richiesta, insomma tutta la parte burocratica, è stato per me già un primo master. Ed esserci riuscita, un mio primo grande successo.
Comunque, una volta iscritta, scopro che in realtà il corso è diviso in due: il primo mese e mezzo il corso riguarda Ambienti digitali per la formazione ed è tenuto da un prof diverso da quello titolare del corso di letteratura per l’infanzia. Che cosa c’entrano gli ambienti digitali con i libri per bambini mi sfugge tutt’ora, comunque mi son detta “male non può farmi” e via, ho cominciato a frequentare.
In questo primo mese e mezzo di frequentazione di letteratura per l’infanzia neanche l’ombra. Però mi hanno spiegato come valutare una piattaforma digitale di una casa editrice, come mettere le note a un PDF e come fare una presentazione. Considerato che negli ultimi anni sempre più spesso mi è stato chiesto di redazionare direttamente sui PDF usando proprio quegli strumenti di Acrobat che il prof ha spiegato e che dieci anni fa ho assistito alla nascita delle piattaforme digitali delle case editrici e so bene cosa ci sta dietro, diciamo che ho trovato interessante la spiega sulle presentazioni, perché io normalmente non le uso e non mi è stato mai chiesto di prepararne una per lavoro. Però ho anche scoperto programmi e app divertenti, ma soprattutto ho capito bene che cos’è l‘Universal design for learning (UDL) che sta un po’ alla base delle nuove teorie sugli strumenti per l’inclusione, di cui avevo sentito parlare ma che non mi era ben chiaro.
Ogni mattina che ho lezione, prima di partire da casa, mi guardo allo specchio e mi chiedo “ma perché? Ma chi me lo ha fatto fare?”, però poi prendo il passante, attraverso la città e mi metto in ascolto.
Ora… venendo a noi… immaginatevi il mio primo giorno: un’aula universitaria piena di ventenni, nella quasi totalità ragazze. E poi immaginatevi me, una over 50 che entra nell’aula e si siede al suo posticino. Potevo vedere i fumetti dei loro pensieri: “ma chi è sta vecchia?” Essendo un esame del quarto anno, le frequentanti praticamente si conoscono tutte, si salutano affettuosamente, credo abbiamo numerosi gruppi whatsapp e telegram su cui chattano. Per cui un corpo estraneo come me non credo sia passato inosservato. Però nessuno mi ha rivolto la parola, nessuno mi ha chiesto chi fossi, nessuno si è avvicinato. Con mio grande sollievo. Viste le premesse, per evitarmi l’imbarazzo, ho cominciato ad arrivare prestissimo, quando nell’aula non c’è ancora praticamene nessuno. Questo mi evita la levata di sguardi quando apro la porta e mi consente di scegliere il posto che preferisco.
Perché lo faccio?
Quando si supera la mezza età si fanno cose strane. C’è chi va in montagna e si mette a scalare cascate ghiacciate, chi si compra una moto, chi si mette a correre, chi si fa l’amante, chi può permetterselo si compra una casa in montagna da arredare o proprio da ristrutturare.
Credo che alla base ci siano sempre due ragioni: la consapevolezza che non puoi più rimandare quello che avresti sempre voluto fare, e la non rassegnazione al tempo che passa. Perché tu di anni te ne senti sempre 27 e hai bisogno di fare progetti per il futuro, di lavorare per qualcosa, raggiungere degli obiettivi.
Io da sempre subisco il fascino dei libri per l’infanzia e avrei tanto voluto fare la tesi su quelli, ma all’epoca non si usava o comunque i prof a cui la chiesi mi dissero di no. Non era ritenuto un tema interessante, o comunque con prospettive.
Quando chiesi la tesi era il 1993. Le più belle case editrici di albi illustrati avrebbero aperto solo una decina di anni dopo, nei primi anni duemila.
Eppure la libreria dei ragazzi era nata a fine anni settanta, Munari e Rodari si erano già dati un gran da fare, gli “istrici” di Donatella Ziliotto pubblicavano già da anni libri fantastici provenienti dal nord Europa, tra cui la intramontabile Pippi Calzelunghe. Io stessa da bambina avevo avuto libri illustrati bellissimi in cui mi perdevo.
Ricordo che una volta laureata mandai il curriculum a un’infinità di case editrici che più o meno si occupavano di ragazzi. Prima fra tutte Salani. Nessuno mi rispose.
Poi la vita mi portò per caso all’editoria scolastica e andò bene così.
Però questo amore per i libri per bambini, questa sensazione di occasione persa mi è rimasta nel cuore. Quando leggo di editor, direttrici editoriali, studiose di letteratura per l’infanzia che hanno più o meno la mia età, provo una grande invidia. E mi rendo conto come la vita spesso sia fatta di incontri, casi fortuiti, occasioni mancate, treni presi e treni persi.
Negli ultimi anni ho avuto il privilegio di occuparmi come autrice (o come ricercatrice di testi) di libri di lettura per la scuola primaria. Dico un privilegio, perché nelle case editrici sono sempre mal visti i redattori e le redattrici che si mettono a fare gli autori. Si è visti male dai colleghi che ti vedono come uno che non sa stare al proprio posto, uno che si è montato la testa. La casa editrice, dal canto suo, non pubblicizza la cosa, perché c’è la convinzione che avere come autori i propri redattori sia poco prestigioso. Inoltre nel mondo dell’editoria scolastica della primaria si ritiene che gli autori debbano essere insegnanti. Quindi mi sono goduta le occasioni che mi sono state date per mettere nei testi tutto quello che mi piaceva, tutto quello che avrei voluto io da bambina e tutto quello che avrei voluto ci trovassero i miei figli. Mi sono goduta la ricerca e la scoperta di libri che non conoscevo, mi sono informata su siti, riviste di settore. Ho spulciato blog di insegnanti e chiesto ad amici con bambini quali fossero i testi preferiti. E ho capito che c’erano un sacco di cose che non sapevo, ma soprattutto che avevo bisogno di mettere ordine a tutte le cose che avevo imparato. Volevo scoprire come si era evoluta la letteratura per l’infanzia, quali strade aveva percorso in Italia, se gli autori che piacciono a me sono veramente di valore o sono dei ciarlatani. Se io alla fine ci ho capito qualcosa.
Ed ecco allora la mia decisione di iscrivermi al corso. Non so se darò mai l’esame: se ricordarmi nomi e date era complesso per me a vent’anni, adesso è praticamente una impresa impossibile. E poi, siamo onesti: superare un esame a questo punto della mia vita, a me non servirebbe a nulla. Alla mia età potrebbe farmi curriculum solo se il corso lo tenessi io, non certo se lo frequento con delle ventenni…
Per cui eccomi qui. Mi godo lo studio come puro piacere.
Essendo iscritta come studentessa alla Bicocca, ho scoperto di avere accesso ai materiali digitali anche di altri corsi passati del corso di laurea di scienze della formazione primaria, e così mentre cucino o stiro mi guardo le vecchie videolezioni di Didattica della letteratura fatte ancora in epoca di covid dallo stesso prof che dal mese prossimo finalmente inizierà le lezioni di Letteratura per l’infanzia. Quanta bellezza…
Come mi piacerebbe tornare indietro e reinventarmi la vita. Come invidio questo docente che passa le sue giornate a studiare libri per l’infanzia, a rivoltarli come calzini, a cercare connessioni e punti di rottura. E poi parlare a un pubblico adorante, che nolente o dolente pende dalle sue labbra perché è da quelle che dipende il voto sul loro libretto digitale. E poi le conferenze, i dibattiti. Un microfono in mano per far sapere a tutti quanto sei intelligente, arguto, colto. Spari la tua teoria e via. Che bella vita deve essere quella del docente universitario…
E invece no. Io faccio la redattrice, con velleità da autrice ma non sono un’insegnante e questo distrugge le mie velleità. Continuerò a fare la redattrice, se il lavoro arriverà, perché intendiamoci, il mio lavoro mi piace sempre un sacco. Però nel frattempo mi godo queste lezioni, fingo di avere vent’anni, mi lascio guidare dalla voce di un prof videoregistrato e mi cullo tra testi bellissimi mentre immagino una vita che non è stata la mia.
Forse anche questo è un effetto collaterale dell’età.
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